giovedì 13 dicembre 2012

Icaro è diventato celebre perché ha provato a volare, non perché è caduto

Stamani ho chiamato una persona, erano mesi che non facevo quella telefonata.
Ho fatto il mio personale in bocca al lupo a chi ha deciso di accettare una scommessa, un rischio e si candida alle primarie per i parlamentari per il Partito Democratico, per il progetto di Prossima Italia.
Sarà probabilmente l'unico outsider della sua zona, ma ha deciso di provarci e comunque andrà non avrà di che rammaricarsi.
Una candidatura meditata da tempo, da anni, da quando lo conosco, fondata sul lavoro per il suo territorio, sull'amore di una terra in cui non è nato, ma in cui vive da tempo e che, ferita, ogni giorno sta cercando di rispiccare il volo.
Una candidatura che è parte integrante di un progetto di rinnovamento, e che tra mille difficoltà è venuta alla luce, non il win for life che ogni giorno assistiamo nelle stanze del potere.
Persone che spuntano come funghi, ansiosi solo d'apparire e di comparire, salvo poi sparire negli angoli bui del dimenticatoio.
Una volta ti ho chiamato Icaro, ma Icaro è nella mitologia perché ha provato a volare, non per altro. Anche se poi è caduto. La cera nelle ali non tiene al sole.
In bocca al lupo, Pà. Non ti ci avvicinare troppo, a quel sole.

sabato 1 dicembre 2012

Fin(alment)e.

Caspita! Riapri il tuo blog e ti accorgi che sei stata due mesi senza scrivere niente. Ogni tanto ti riaffacciavi, ma l'istinto iniziale si spegneva.
Ora sei spenta tu, è quella classica giornata in cui capisci che hai finalmente esaurito tutta la carica propulsiva. 
Forse tante telefonate come oggi non ne hai mai fatte, ma alla fine hai staccato, non il telefono, tu.

Hai recuperato parte di quella dimensione quotidiana che da tempo ti mancava, non hai mandato tue figlie a catechismo e hai voluto tenere quelle due vocine con te, mentre stiravi, mentre stirando ascoltavi musica da internet, leggevi mail e sms, cui rispondevi, mentre preparavi la cena e poi le mettevi a letto.
E' finita, comunque vada è finita e da lunedì si ricomincia con la solita vita.
Ma intanto tiri un bilancio di questo poco più di un mese: idee, iniziative, proposte, realizzazioni, scazzi (non pochi!), nervosismi, decisioni, puntigli anche solo di principio e nuove conoscenze, ma anche conferme.

Un bel gruppo, un'esperienza sicuramente formativa, a volte ci siamo sentiti la zattera in un mare in tempesta, ma oggi vediamo il porto e non è poi così lontano.
Le nostre forze e l'aiuto di chi, più esperta, ha voluto e potuto guidarci.
Un grazie principalmente a due donne ed a un uomo, ma anche a quelle persone che nel loro piccolo hanno dato qualcosa di sé per gli altri, per un progetto, per un'idea. 
Coraggio e la forza dell'ostinazione, oltre che della convinzione.
La tigna, direbbero a Roma.  Con i nostri mezzi limitati, ma con tanta passione.
E poi domani si vedrà, pensando già a dopodomani ed all'adrenalina che non ci sarà più, ma resterà il bel ricordo di un'esperienza per te unica e irripetibile.

martedì 23 ottobre 2012

Genitorex2

Buffo, hai 33 anni, sei sposata da 5 e ti viene improvvisamente in mente che è ora: sì, devi.
Devi procreare. E allora che fai? comunichi "Ehi, io da domani smetto la pillola." Punto.
Non hai un granchè di lavoro, anzi diciamo che quello che fai è mero volontariato, lui non ha un lavoro sicuro e stabile, è un lavoratore autonomo, con gli alti e bassi tipici di chi non ha uno stipendio fisso, ma conta solo su se stesso e sul mercato nel suo settore.
Ma fare un figlio è un rischio comunque, lo scoprirai su te stessa poi.
E vai, un mese e resti incinta.
Il periodo più bello, che affronti con tutte le ansie tipiche.
E poi lei, Camilla, che è il sole nella tua vita, il suo sorriso che già vedi quando ha tre mesi, il viso che ricorda un fumetto giapponese (te lo confermerà poi anni dopo una tua amica giapponese, ti dirà che tua figlia, con quegli occhioni e quel bel sorriso, le fa venire in mente un personaggio manga di cui ormai non ricordi più il nome) e la sua dolcezza, che speri le resti per sempre.
Gli alti e bassi non mancano mai. Anzi, più spesso i bassi, ma vai avanti, scavalchi gli ostacoli  e dopo tre anni, stessa comunicazione di servizio, stesso tempo intercorso e poi quell'angelo biondo boccoloso, che però nasconde la coda da diavoletto, Ginevra.
E capisci che il rischio non è solo mantenerli i figli nel migliore dei modi, ma anche metterli al mondo. 
Un imprevisto e succede l'irreparabile che cerchi ogni giorno di contenere.
Ma lei è bella, intelligente come pochi, affettuosissima e pestifera come nessuna.

E ci sei tu, a fare, ad essere mamma e spesso anche papà.
E la sera sei stanca, ma non vedi l'ora di avere quelle braccia che ti si stringono addosso durante la notte, quando dal lettino senti una vocina che ti chiede il permesso di dormire con te e tu sibili un sì (che pure se lo pensassi e basta sarebbe lo stesso, tanto ormai è una mera formalità) e per il resto della notte dovrai lottare con calci, coperte alzate all'improvviso e manate in faccia, sempre che non ti facciano cadere dal letto a forza di spinte.

Ma rifaresti tutto, anche rischiare di avere un figlio non avendo la sicurezza economica. Quella non ce l'hai mai, non si è mai pronti per un figlio: bisogna essere dei veri incoscienti per mettere su famiglia.
E tu lo sei.

martedì 9 ottobre 2012

Sabbia.

Quella che scorre in una clessidra. Va dall'alto in basso e poi, finita, giri la clessidra e ricomincia a scendere, fino a che finisce di nuovo, fino a che la rigiri e scorre nuovamente.
Solo che quella sabbia è, pur essendo la stessa, differente, scorre all'incontrario di prima.
Ed è come se il tempo che è passato nel precedente verso della clessidra fosse andato in un senso contrario a quello che scorrerà poi, con quella sabbia vecchia ma nuova.
L'ineluttabilità del tempo, la sua indisponibilità.
Il tempo è quello, è quella sabbia. Va, scorre, non si ferma. Se si ferma, sei tu che lo fai, non il tempo.
E se ti fermi ad osservare cosa accade, quell'accadere passa e se ne va e tu sei fermo. A guardare ciò che non è più, che è stato e che non sarà.
Allora meglio non guardare, non osservare, ma camminare avanti, al tempo del tempo, se ti riesce.
Non importa dove andare, ma importa che vai. La direzione la vedrai nel cammino. Ma intanto la sabbia non scorre invano, almeno.
E non perdere nulla di quello che hai attorno, vivi ciò che prima osservavi.
Vivi quella sabbia e scorri con lei e se poi ti capiterà di scorrere al contrario di prima, è il tempo, non sei tu.
Tu sei il tuo tempo.

lunedì 3 settembre 2012

ReteSocialSemiseria

Dunque, chiariamo una cosa: il social è un nonluogo, innanzitutto, dove il Non impera.
Puoi dire che ti trovi a Miami ed invece stai a Rovereto, puoi dire che sei sposato ed invece sei single, puoi dire che conduci una vita felicissima ed invece sei nella più nera depressione. 

Puoi dire ed invece.
Teniamo, tenete sempre presente questo elemento: l'invece.
Se fate riferimento all'invece, condurrete una vita "social" senz'altro più serena.
Non vuol dire che dovrete diffidare dei vostri interlocutori, ma nuotare in superficie in un mare che, se affrontato nel profondo, vi porterebbe negli abissi. 
E quindi è meglio galleggiare.

Fate caso alle foto, alle "immagini profilo" (come si chiamano su Fb) o avatar nella Rete in genere: tutti belli, difficile che una persona si mostri come si sveglia al mattino, oppure foto di personaggi (del momento o i preferiti dal titolare dell'account), oppure animali oppure qualcosa di indefinito che ha senso solo per chi la posta e resta incomprensibile per gli altri. 
Addirittura c'è chi pubblica come proprie foto di altre persone, non famose.

Poi i nomi, io stessa ho esaurito le possibilità fornitemi dal sistema di Facebook: nomi di personaggi letterari, giochi di parole, fino al punto che ho usato il più originale, il mio. 
Ma c'è anche chi usa nomi anonimi, magari presi dall'elenco del telefono.

Le vite, le vite a volte sono avventurose: conoscevo uno che si mostrava in foto da supervip, in contesti che davvero facevano pensare a dimore lussuose, poi ho saputo che era una persona modesta che si barcamenava in mille lavori umili, ma sul web non si può dire che fai il muratore ed hai le mani sporche di cemento, no, non va bene, non sei bene accetto.

Il 90% degli abitanti social è depresso, ma depresso che se va da uno psicologo non ci esce più fino alla fine dei suoi giorni. Il fatto è che, specialmente Facebook, ha la capacità di condurti per mano in un loop che ti trascina in fondo, partendo dai link musicali deprimenti, passando per citazioni sulla solitudine, fino a condivisioni di immagini con personaggi vestiti di nero che si protendono verso abissi nebulosi. Ah, ho album pieni di queste foto... 

Credo che ci sia uno sportello online apposito degli ospedali psichiatrici e se non ci fosse, ne caldeggerei l'istituzione.

L'aggressività è esaltata sulle bacheche Fb, su Twitter meno, probabilmente il contrarre la rabbia in 140 caratteri la fa evaporare. Leggi status di persone che sanno tutto di tutto e di tutti, sanno dare la loro illuminata opinione su come estirpare la psoriasi per sempre, pur non sapendo assolutamente cosa sia, ma lo hanno letto su qualche forum online di qualche persona che non ha minimamente idea di cosa sia una malattia dermatologica, ma "lo dice la Rete" e quindi è vero, la Rete è vera, non ha filtri la Rete, non ha censure. E quindi io posso parlare di meccanica quantistica pur avendo un'infarinatura di fisica del liceo, che peraltro era l'unica materia che veramente schifavo. 

Ma se tu provi a dire che ho torto, io ti massacro, capito? Ti dico che sei il peggio topo della peggior fogna dei peggiori sobborghi della peggiore slum. Fai attenzione che ho il clic facile, io. Ti cancello, ti segnalo (e lo faccio con tutti i miei 30 account, così Fb ti cancella dalla faccia della SocialEarth per sempre. Sì, ho 30 account, e allora? 29 mi servono di riserva, che così sono pronta caso mai FB mi cancella - per errore, eh.) e poi ti blocco e poi faccio lo stesso con tutti i tuoi amici, che tanto lo so che sono spie e guardano cosa scrivo e poi te lo riferiscono. Ma io li frego, sono furba, mica scema, eh.


Ho imparato una cosa, ma c'è voluto del tempo prima che imparassi veramente: su FB e su Twitter devi contare fino a 10 prima di postare qualcosa. Anche se quel qualcosa non ha a che fare con nessuno dei tuoi contatti, conta, conta fino a 10, perché ci potrà sempre essere qualcuno che crede che tu ce l'abbia con lui o con cose che capitano nella tua città o, meglio nella tua vita. Poco importa che avevi voglia di scherzare e hai fatto semplicemente una battuta o hai detto semplicemente una scemenza. Non si dicono scemenze su Fb, potrebbero scambiarle per verità. 
E non devi essere impulsiva o imprecisa, non si è mai imprecisi nell'interpretare quello che scrivi, sono precisissimi i tuoi interlocutori. 
Si possono creare casi diplomatici che poi è difficile dipanare, sappilo.

Poi ci sono quelli che sperimentano le reazioni altrui, magari creano un fake e costruiscono una storia e attendono gli eventi di chi si cimenta con il pupazzo virtuale, solo che chi fa questo spesso non sa da dove si incominci, se non ha mai usato Fb come un fake vero. Eh, sì: bisogna essere fake per fare un fake realistico, non lo sapevate? ecco perché i fake fasulli si sgamano subito ("sgamare": "scoprire", mi scuso con i non romani per il mio esprimermi dialettale). Non fate "fake" terzi, se non siete fake pure voi. Vi prendono sul serio, sapete?

Non parliamo dei groupies, ci sono gruppi su Fb di tifosi (non calcistici, per lo più politici) che sono più simili a sette tipo Scientology che a partiti politici. E non ti permettere di dire la tua che non è quella di chi ha creato il gruppo, che ti si scatenano tutti addosso. E quando poi te ne vai, ti vengono a bussare in mail dicendoti che avevi (TU!) esagerato. Già, c'ero stata troppo là dentro, dovevo andarmene via subito.
Che poi i partiti politici non se ne fanno di niente di questa manovalanza, il web fa opinione, certo, ma dare troppa importanza agli aspiranti politici da tastiera serve solo a dar loro importanza virtuale, virtuale, appunto. 
E proprio perché fa opinione, bisogna fare attenzione a cliccare su "pubblica", contando fino a 10, come ho detto prima, ma sempre tenendo presente (da parte di chi legge) di quell'"invece" di cui ho parlato all'inizio. 


Meglio, molto meglio dissacrare. 
Nel dissacrare, l'"invece" è già compreso nel prezzo di acquisto.





martedì 21 agosto 2012

Malattie da social network (5). Il mipiacista negazionista

Dopo qualche tempo, complice la pausa estiva, torno a descrivere le patologie di chi, assiduo frequentatore dei social network, utilizza gli strumenti che vengono offerti in modo atipico.
Oggi parleremo del cosiddetto "mipiacista negazionista".
A suo tempo, trattai il caso del mipiacista, ma mi sfuggì questo sottogruppo.

Di genere indifferenziato il mipiacista negazionista, che, preso di mira un soggetto specifico, costella la sua bacheca giornaliera di mipiace, un mipiace a status, commento, foto, link, qualunque cosa il soggetto pubblichi. 
Spesso questi mipiace, il cui  destinatario spesso nemmeno considera più, in virtù della quantità inconsulta di tali click, sono associati a commenti non pertinenti, battute di spirito che solo l'autore comprende.
Altra associazione sono i tag su qualunque cosa, foto, link musicali, link di vario genere, così da costellare la bacheca destinataria praticamente di un unico interlocutore, lasciando gli altri in una situazione di imbarazzata osservazione.
Imbarazzata e al contempo divertita.
Spesso gli altri, meri spettatori a questo punto, si privano del piacere di un misero mipiace o di un commento per "non disturbare il manovratore", lasciando quindi il contesto in un dialogo a due, come in uno spettacolo a scena aperta.
Chiaramente, se al mipiace del mipiacista si accompagna improvvidamente un mipiace o un commento altrui, il primo ne avrà la notizia e si sentirà "oltraggiato" se l'altro mipiacista sarà troppo attivo sulla bacheca in questione, provocando reazioni da "titolare del territorio".

Ho parlato di mipiacista negazionista, però. 
E' negazionista in quanto, qualora qualcuno faccia notare a costui/costei questo uso improprio, egli/ella nega in modo vibrato, quasi offeso, accusando la persona in questione di essere troppo attiva sul social, di invadere gli altrui spazi, arrivando quasi all'offesa personale. A volte, addirittura senza il "quasi".

Spesso tra gli osservatori si crea un fronte comune, anche perché chi cade nelle ire del mipiacista, spesso viene da costui/costei bloccato (o viceversa), e spesso il soggetto in questione viene bonariamente deriso in questa sua attività ad compulsum.
Il paradosso è che talora mette il mipiace anche a chi fino a quel momento l'aveva pubblicamente deriso.

Chi di mipiace ferisce, di mipiace perisce, potremmo dire.


(mi scuso per il tenore leggero di questi post, ma fa caldo e le cose serie non riescono bene come quelle facete)




venerdì 17 agosto 2012

BannerBannedBanning

Certo, è buffo che chi ti banna su un social (bannare sta per cancellare e bloccare, così da non leggere più cosa scrivi e non permettendoti di leggere cosa scriva chi è l'autore del ban) poi sbirci sul tuo blog per sapere cosa tu faccia o cosa tu dica.

Beh, caro il mio bannatore cuore solitario ti aggiorno qua:
- la solita vita, quella che tu conosci bene da qualche anno;
- le mie bambine stanno bene e crescono, vivaci e vispe come le vedesti quel giorno in cui ti si guastò l'auto  nella mia città (dove tu non dovevi essere) e per quello andai da un elettrauto e lo condussi dove era la tua macchina, e come te l'ho sempre descritte, solo che sono sempre più belle e sono il mio orgoglio di mamma;
- ho appena terminato le mie vacanze come al solito in Sardegna, come sempre, sono discretamente abbronzata ma anche un po' ingrassata, ma si sa, i chili vanno e vengono (a me vengono e non se ne vanno, ma tant'è);
- il lavoro dovrebbe proseguire (bene);
- sono felice, ma questi sono affari miei, ti basti saperlo;
- il resto della mia vita procede, tra soddisfazioni e impegni vari. Magari capiterà che da qualche parte ci rincontreremo, chi può dirlo, e magari fingeremo di essere amici, come evidentemente abbiamo (leggasi: hai) finto in questi anni.
Penso possa bastarti.
Se poi vuoi aggiornamenti, il numero è sempre lo stesso, basta premere sui tasti e fare una telefonata, non è difficile. Ma non ho voglia di sentire lamenti o critiche, per quello hai già dato a sufficienza nel mondo virtuale dei social, la vita è un'altra cosa. Quindi, o telefoni e dici cose gradevoli o evita che non è aria.
Ah, Icaro eri tu, come hai immaginato.
Cionondimeno ti saluto

Tua Reloaded



domenica 12 agosto 2012

che poi mica è obbligatorio fare tutto quello che fanno tutti

Domenica di vacanza al mare.
Ultima domenica di vacanza al mare.
Forse anche ultima domenica di una vacanza di questo tipo in questo mare.
Vedremo.

E' pomeriggio, stai a casa. 
Stamattina sei andata in quel centro commerciale dove non vai mai, ci vai solo una volta ogni vacanza, è lontano da casa tua (che poi sono dieci minuti di macchina - senza traffico - , ma tu usi conteggiare le distanze vacanziere con un'unità di misura di 5 minuti e se superano i 10 minuti non esiste che tu ti sposti), acquisti futili, nessun souvenir per nessuno, non hai posto in valigia, basterà il pensiero.
Hai pranzato, uno di quei soliti pranzi domenicali in quella comune che è la tua casa: oggi eravamo pochi, una dozzina, in genere superiamo le 15 persone (20 a cena), cibarie tipiche del luogo e molta allegria.

Dovresti andare al mare: ogni buona vacanza che si rispetti prevede tassativamente che la domenica tu passi tutta-la giornata-tutta in spiaggia, ma da quando eri incinta della figlia number two non sopporti i raggi perpendicolari, neanche con ombrellone d'ordinanza, protezione 50 e frequenti ricorsi al tuffo nelle acque limpide. 
Ma niente, oggi non ti va e, che disdetta!, non va nemmeno alla prole che gioca in terrazza con gli ultimi giochi regalati dai tuoi parenti, che non sai dove metterai, visto che tutti i trolley che hai sono già al limite massimo di capienza e sei senz'auto. In effetti, oggi, in quel negozio di borse, guardavi con malcelato interesse quel trolley ma ti chiedevi come saresti riuscita a portarlo, visto che devi trascinare quello che conterrebbe un essere umano di altezza e corporatura medie, portare la tua solita borsa da Mary Poppins, uno zaino-frigo (che sei tentata di lasciare qua) e chissà cos'altro. 
Ah, sì, la borsa porta computer, già.
Ah, vero, il beauty case (che ovviamente non entra nel megatrolley).

Insomma, dovresti essere in spiaggia a liquefarti al sole ed invece sei a casa, al fresco della tua casa, a pensare a come risistemare le cose per il rientro e questo non è bene.
Hai ancora due giorni per pensarci, chiami la prole e decidi che andrete in spiaggia. 

Si deve fare, è obbligatorio. 

O no?

sabato 28 luglio 2012

Pomeriggio.

E pure stavolta hai preso un treno, anzi due. Due treni ed un bus. Strane coincidenze.
Al nord, al sud. Anzi al centro.
E arrivi in un luogo, stavolta conosciuto, anche se per certi versi non è più tuo.

Fa caldo, l'altra volta pioveva.
E' estate, là era inverno.

E sei sola, in silenzio. Le pale del ventilatore muovono l'aria rendendola fresca, gradevole.
Ed eri sola, e leggevi un libro, di uomini che odiavano le donne, ricordi.

Dormicchi, dormicchiavi.

Aspettavi.
Aspetti.

Un suono. Una voce.

giovedì 26 luglio 2012

Paradossi.

Gran brutta cosa aver passato una dozzina d'anni in uno studio legale civilista.
Ne vedi di tutti i colori, gente che ha un sacco di soldi, ma che al momento di saldare per il lavoro svolto, si dimentica; persone che non ce la fanno a saldare il loro debito e ne inventano di ogni per sgattaiolare da banche, finanziarie e quant'altro, che non hanno bisogno dei loro miseri soldi, ma ne fanno una questione di principio, di etica (etica?) commerciale.
Mi divertivo a scoprire gli espedienti che la gente inventava pur di sfuggire alle maglie di un pignoramento e, quando ce la faceva, ero contenta. Beh, non ero fatta per far l'avvocato, è ovvio.

E poi le separazioni. 
Storie di corna, sempre e comunque.
La separazione più strana fu quella di una coppia che si amava, ma si amava talmente che non desiderava più vivere insieme. Quando vennero a prospettarci la loro intenzione, io e gli altri di studio ci guardammo stupefatti. Unici, erano unici. Poi alla fine, la separazione arrivò, come tutte, del resto.
Ma non so se tuttora stiano sempre insieme, quei due. Si amavano troppo.
Buffa la vita.

Gente che si odia ed è costretta a stare insieme, magari per problemi economici e gente che si ama che si divide.

lunedì 23 luglio 2012

Troppo tempo. Poco tempo. Mai abbastanza.

Strano. 
Molto davvero.
Hai a disposizione una vita intera e sprechi il tempo a rincorrerlo, a rincorrere la vita, che guardi scorrere come dal finestrino di un treno. Tu ti muovi, ma sei ferma e fuori ciò che è fermo, ti sembra spostarsi velocissimamente.
La relatività.
E poi ci sono le dimensioni. Vivi una vita che ti appartiene, l'hai scelta un giorno, una serie di giorni, una sequenza di scelte, di occasioni che hai perso e che hai colto. Più le prime delle seconde nel tuo passato, a dire il vero. Oggi riesci a vedere le occasioni, le cogli, pensi forse perché sei adulta, matura forse, non lo sai. Più di diversi anni fa, probabilmente.
La maternità cambia una donna, di botto la fa sentire assalita dagli anni, dalle responsabilità. Ora le decisioni non sono più sue, sono per altri e questo la spaventa ma è ineluttabile. 
Ineluttabilità.
Hai portato in grembo una vita per 40 settimane, ti spaventa quel giorno, il giorno in cui la vita vedrà la luce, ma non puoi rimandare. E quel non poter rimandare ti segna per sempre. Da quel giorno affronti tutto, nel bene e nel male. Tutto l'importante, ovviamente.
Le dimensioni, dicevi. 
Sì, la vita che ti appartiene ed invece non è così. La vita che hai scelto quel giorno di vivere, quei giorni. E poi ti rendi conto che forse è la solita maschera che indossi da quel giorno.
E ti costruisci, se possibile e quando è possibile, un'altra vita. Quella che ti piace, quella in cui sei tu, quella vera, quella "dentro". Quella che è sotto la maschera, insomma.
E in quella dimensione vivi, respiri aria vera. 
E in quella dimensione il tempo non conta, tra l'inizio e la fine. Il tempo è fermo, il mondo non esiste. 
Esisti tu e la dimensione, la tua oasi di spazio e tempo che non esistono. Ci sono solo per te.
Non c'è un troppo, non c'è un poco. 
C'è un molto che si dilata, tra un inizio e una fine.

mercoledì 11 luglio 2012

Terza fila, secondo posto da sinistra

Seduta, hai accanto a te persone che non conosci e che non ti conoscono. Fa niente, eri lì non per socializzare, tanto lo fai naturalmente, ti riesce così bene che non pensi nemmeno sia importante.
Ti guardi attorno, che ci fai lì, ti chiedi e non lo sai.
Ascolti parole, abbastanza inutili. Gente che si parla addosso, che si autoelogia, che si compiace della sua intelligenza, che critica ma solo per autoaffermazione, è sport la critica, quasi una ginnastica da terza età, ormai.
Una cosa stona e la noti e un'altra persona la fa notare. Risposte stizzite, un po' infantili a cui corrispondono repliche sarcastiche. Ma è così, se non cambiano le cose le cose non cambiano.
E mi sa che in mano a costoro, le cose non cambieranno. Tali e quali.
In prima fila siede una persona. La conosci, è l'unica che conosci davvero - almeno credi - e che ti conosce davvero - almeno crede.
La osservi, mentre le parole al vento proseguono in una sera di inizio estate in una città che non ti appartiene.
Le guardi la nuca, è di spalle di fronte a te.
E pensi.
E pensi che con lei non hai mai avuto nulla a che fare davvero. Non ti conosce e pensa di conoscerti. 
Pensi di conoscerla e forse non la conosci.
Le hai parlato mentre ti recavi là e sentivi la distanza. Tu a terra, coi piedi ben piantati. Lei in volo pindarico verso un sogno che pensa di toccare. Ma tu sai che le ali di cera si sciolgono più si sale verso il sole.
Il novello Icaro cadrà e ti dispiace. Ma gli hai già offerto la rete una volta, non puoi sempre fornirgli un approdo sicuro.
Che cada. Con te non ha più nulla a che fare da tempo.
La rete gliela stanno preparando altri, ma non è una protezione. E' una trappola.
Tu lo sai, glielo hai detto, ma ci si sta invischiando dentro e prova ad invischiarci anche te.
Solo che tu non voli così alto. 
Soffrire di vertigini aiuta.


sabato 30 giugno 2012

Prima domenica, primo giorno di luglio

In cucina della mia casa, davanti ad una tazzina di caffè vuota, la caviglia dolorante.
Ah, sì, mettiti pure quei sandali altissimi ed ecco il risultato: ti sei slogata la caviglia. Ma non fa niente, è sopportabile e la casa, la famiglia non aspettano.
Oggi piscina con la prole, sole, acqua, chiacchiere con l'amica che tra un po' sarà già lì a prendere i posti. No, tu farai con calma, abiti ad un passo e prima ti organizzi e poi arriverai.

Tutto fluisce normalmente, in questa estate che normale non è.
Troppo caldo, tanti silenzi pieni di parole e tante parole che sembrano non bastare mai.

E anche i silenzi non bastano mai.



sabato 2 giugno 2012

Domenica mattina di inizio giugno

Sono ancora in camicia da notte. Non sono ancora le nove, ho appena fatto colazione e acceso il pc per le notizie, visto che la tv è monopolio bimbesco.
La tavola presenta i resti di una colazione finita, bicchieri mezzi pieni (o mezzi vuoti, dipende. Oggi sono mezzi pieni) di latte, vasetti di yogurt con anellini di cioccolato, biscotti e caffellatte. 
Ora mi faccio un caffè.
Una domenica come tante, la casa da sistemare, il pranzo è fatto (da ieri), qualche panno da stirare, altri da stendere.
Come tante. Forse troppe.
Stamattina andremo a Messa, Camilla ha fatto la Confessione ed è stata invitata a partecipare alla funzione domenicale. Andremo. Non ci andiamo mai, in verità. Non sono una cattolica praticante, sono una cattolica svogliata. Anzi, sono proprio svogliata in senso assoluto. Ma andremo.
Poi, all'uscita decideremo che fare e dove andare, siamo libere, lascio libere mie figlie di decidere cosa fare e dove andare. 
Probabilmente, torneremo a casa a pranzo e poi usciremo, se sono aperti i negozi ho compere necessarie e voluttuarie, soprattutto voluttuarie - quelle per me -, da fare, altrimenti faremo una passeggiata in centro. E' lo stesso, basta uscire e smettere di respirare l'aria di casa.
Intanto, insegno a Ginevra parole nuove in inglese, è curiosa, mi chiede le cose più improbabili e mi inerpico con le risposte. Anche stanotte, quando mi ha chiamata perché dormissi un po' con lei "mamma perché gli uccellini la notte non dormono e non fanno che cantare?". Ho ascoltato ed in effetti cantavano. "Perché ti cantano la ninna nanna, visto che non dormi", le ho risposto.
Vado a farmi un caffè.

martedì 29 maggio 2012

Pause di tempo. Non è più tempo di pause.

Corri, ti affanni, incastri impegni, doveri e pochi piaceri.
Non c'è il tempo per te, non ce l'hai, quando l'hai avuto l'hai sprecato, annoiandoti nel nulla di una realtà che non pensavi diventasse mai tua, eppure lo era, tua, e tu, nella tua noia, non riuscivi ad accorgertene.

Spreco, immondizia di tempo da non differenziare. Lo spreco non si differenzia, è spreco e basta.
Lo getti nel cestino di un ricordo che dimenticherai in fretta. Cosa hai fatto in quei giorni, ti chiedi e non ti rispondi. Non ricordi, tutto è nebbia di quei giorni, di quei mesi, di quegli anni buttati nel nulla.

Nebbia. Sì, una nebbia di quelle che non ti lasciano vedere ad un centimetro dal naso e che non ti fanno progettare alcunché. A che serve il progetto se nulla vale il nulla?
Poi le cose cambiano, non sei tu la responsabile di questo, ti annoi tu, perdi sempre il tuo tempo dietro al niente, però cambiano lo stesso e dalla nebbia filtra non luce, ma un colore diverso, meno grigio, e forse qualcosa inizi a vedere.

Cambiano le cose e cambi tu.
Allora ti trasformi, in un parossismo delirante trovi mille cose da fare, da organizzare, da pensare di fare e da pensare di organizzare, tutto per tagliare quella nebbia che ti assale il respiro e ti fa soffocare, che ti ha soffocata senza ucciderti davvero. E usi come alibi il frutto di te.

Poi ti calmi, ti guardi attorno ed una certa luce la vedi, non ti annoi più, anche se il pensiero di pensare, il pensiero di fare continuano ad occupare spazi abnormi in te.
E trovi nuovi interessi e passi dal pensare di fare al fare e ti riesce anche bene. Sei contenta, il tempo che prima sprecavi nel nulla ora lo usi in qualcosa che ti piace, ma quando inizi a pensare a cosa fare dopo capisci che è ora di lasciare ciò che finora hai fatto.

E ti riguardi attorno e vedi un'altra luce diversa e occhi bambini che ti hanno aspettata tutto quel tempo ed ora vogliono te. 
E tu decidi che ora devi stare con loro.

sabato 26 maggio 2012

Un fiore

C'è una canzone. 
Una, quella. Quella che qualche anno fa la sentivi sempre alla radio, in tv, nelle filodiffusioni dei super, ti sembrava di sentirla ovunque. 
Quella che quando la sentivi in auto ti veniva automatico seguirla cantando, il perché non  lo so, era così, punto e basta.
E quando lo raccontavi, che la cantavi, trovavi lui che si stupiva, e che ogni tanto ti richiedeva il titolo, probabilmente gli sembrava strano che tu ti mettessi a cantare a squarciagola nel chiuso della tua auto (proprio al chiuso non eri, visto che spesso - era primavera, lo ricordi bene - i finestrini erano abbassati).
Quella canzone.
E lui tu non lo conoscevi, l'hai visto una volta, in mezzo a centinaia di migliaia di persone. 
Ti chiamava, però, e prima di telefonarti ti chiedeva il permesso, con educazione e discrezione.
E poi quelle telefonate, quel "Daniè, ma che ti frega?", con quel distacco di chi vive al Sud, poco più a sud della tua città d'origine, con quel distacco di chi ha già provato tante fregature della vita, anzi, ha provato la Fregatura, a trent'anni, ed è riuscito a fregarla lo stesso, non poteva non essere più furbo di lei, in effetti.
E poi se ne è andato, una notte, in silenzio.
E mi resta quella canzone, che mi ricorda di una persona gentile, che sapeva guardare alla Vita come io ancora non riesco a fare.

giovedì 17 maggio 2012

Malattie da social network (4). Il passivismo

Sì, lo so: sono una social addicted.
Lo ammetto e un po' me ne vergogno, ma a mia parziale discolpa dico che, almeno, sono attiva, anche iper, per certi versi.
Non mi nascondo, io.

Quello di cui voglio parlare, ora, invece è la patologia più virulenta, più presente in ogni social, anche in quelli misconosciuti (chi di voi sa cosa sia Diaspora? io sì, ho pure quello, già nella versione beta, non me ne faccio mancare uno): il passivismo da social.

Il socialpassivo è colui (uso il maschile perché in massima parte il passivista è uomo) che non scrive nulla, è parco anche con i "mipiace" su Facebook, sembra non esserci ma c'è.
Da cosa si denota la sua presenza/assenza? Semplice, sa tutto di tutti, probabilmente passa il suo tempo davanti allo schermo con lo sguardo focalizzato sulla Timeline di Twitter oppure sullo stream laterale di Facebook, non guarda altro, la home gli interessa fino ad un certo punto, nota evoluzioni, passaggi, commenti, amicizie e condivisioni.

Poi, al momento opportuno, appare: un guizzo, un mipiace, un commento buttato là per dire "ci sono e vi osservo e vi giudico, siete asociali, vivete fuori da qua invece di trascorrere tutto il vostro tempo sul pc".
Peccato, che alla medesima osservazione dello stream tu ti accorga che la persona in questione, il passivista, clicchi mipiace qua e là (se poi sono foto di donne procaci, allora diventano un coacervo di mipiace di passivisti), e la sua presenza/assenza sia ben rilevabile da questo e da altro.
Il pallino verde della chat, ad esempio. Il passivista è distratto e la distrazione si paga.

La bacheca Facebook del passivista è scarna, vuota, con pochi status, pochi link cui nessuno presta attenzione o con pochissimi (massimo cinque, non di più) commenti, cui il titolare non replica, ovviamente per non dare adito ad illazioni sulla sua presenza sul social.

Probabilmente il passivista è annoiato da se stesso.

Quando il passivista interviene, dando del social addicted al malcapitato commentatore improvvido, costui può replicare con fare sottomesso o rispondendo per le rime, segnalando l'altrui presenza dissimulata, se fruitore attento delle dinamiche dei social, ed allora riceverà la solita risposta, quella valida erga omnes: "Col computer ci lavoro, è sempre online, non sto su Facebook, io." oppure l'altra "ho lo smartphone, mi manda le notifiche e se ho voglia rispondo".

Passivista, queste risposte le do anche io.

domenica 29 aprile 2012

Questo post avrei dovuto scriverlo tanti anni fa

Stefania. 

Stefania era mia cugina, una delle più piccole. 
Viveva in Sardegna, con i suoi numerosi fratelli e sorelle, e la sua sorella gemella, in una di quelle  belle famiglie numerose, che mi rimandavano sempre l'immagine di una felicità fatta di poco, in un luogo bello e aspro, per me che non vedevo il mare e la campagna se non per poco tempo all'anno. 

E loro, i miei cugini e i miei zii, non li vedevo spesso, nemmeno tutti gli anni, mi erano distanti, fisicamente ma anche per abitudini di vita. Io ero la cugina romana, loro i sardi del Sulcis. Ma il filo dell'affetto, pure se ci conoscevamo poco, c'era e, "dopo", si è forse rafforzato.

Dopo.

Dopo quella telefonata assurda, quella notizia, che senti anche al tg, che cerchi su internet, che leggi e che ti raccontano.

Un no, un no detto, che non viene accettato.

Una uscita coi cani, per far far loro una passeggiata, tra i campi, quei campi così comuni laggiù, quei campi che tu non sei abituata a vedere, nella città dove sei nata, e che ti sembrano irreali, addirittura pericolosi.

Un no detto, una passeggiata coi cani, una presenza che non sarebbe dovuta essere là. Una telefonata a sua sorella, la sua gemella. Una fuga, il nome urlato al telefono, una fucilata alle gambe, una fucilata successiva mortale, l'orrore di una morte ingiusta, mentre al telefono mia cugina, sua sorella, assisteva impotente. E tutta una famiglia, la nostra, nell'angoscia.
E il rammarico di non averla potuta conoscere come avrei dovuto.

Era il 2001.

Qualche giorno fa Vanessa. E tra di loro tantissime altre.

E' il 2012. Quante ancora?

lunedì 23 aprile 2012

Sembra un atto di citazione e forse lo è. Mi autocito.


Questa è una nota che ho scritto su Facebook.
Ma il contenuto vale ovviamente per ovunque. Prima di tutto nella vita reale.

RIEPILOGANDO 


PREMESSA:
Questa è la bacheca di una donna che fa parte del gruppo di 16 candidate in una lista di 32 per il Partito Democratico alle elezioni amministrative per il Comune di Lucca che si terranno il 6/7 maggio 2012.


FATTO:
Sono una persona comune che si presta a quest'avventura per il suo Partito, per il candidato sindaco Alessandro Tambellini, che ammiro per l'impegno politico, ma soprattutto per la persona che è e che conosco da quando sono a Lucca, uomo, padre ed insegnante, e come tale stimato da chiunque lo possa incontrare per strada, anche da chi politicamente ha sempre votato altrove.
In questi mesi ho fatto parte del Comitato Elettorale, occupandomi di un gruppo di lavoro insieme ad altre persone, ora amici, con i quali ho sognato di creare una Città migliore, più vicina alle persone. E da questo ho tratto il piacere di fare un tipo di politica che da fuori non si riesce ad immaginare, diversa da quella che si legge sui giornali o si vede in tv, diversa anche da quella che riempie le pagine delle cronache giudiziarie, per fortuna. E continuamente ricevo riscontri positivi ed apprezzamenti dai miei compagni di viaggio, e non può non farmi piacere.
Sono e resto una donna, una madre, una persona che lavora e che non pensa minimamente alla politica come fine, ma come mezzo per progettare una nuova Città
La Politica ha la "P" maiuscola. Le "p" minuscole le lascio agli altri. Soprattutto ai partiti che si trovano dall'altra parte politica.


DIRITTO:
Se arriverò ad essere eletta, la mia attività sarà quella che mi sono proposta quando mi sono iscritta al Partito Democratico. Contribuire a cambiare una città, rendendola più a misura di chi è debole.
Una città che sia a misura di bambino, innanzitutto.
Quando i bambini posseggono il luogo ove vivono, questo è adatto a tutti.
Una città a misura di donne, con orari e tempi della vita che non siano conformati solo sugli uomini. E non lasciate sole nell'attività di cura a chi in alcuni momenti della vita ha bisogno di assistenza. Le donne non devono essere "costrette" a lasciare il lavoro per assistere chi ha necessità.
Donne presenti nella stessa proporzione rispetto agli uomini anche nell'Amministrazione, a partire dalla Giunta passando per la creazione di una Commissione Comunale di Pari Opportunità, fino alla presenza nelle Aziende Partecipate. 
Donne capaci, come uomini capaci. 
Una città a misura di anziani. Nell'ultima parte della vita di una persona, questa ha necessità che non sempre la famiglia cui appartiene è in grado di assolvere, a partire dalle piccole cose. Anche negli spostamenti, con mezzi pubblici efficienti e con orari adeguati e frequenti.
Una città accessibile a tutti. Un Comune che sia accessibile anche da casa, senza dover necessariamente rivolgersi fisicamente agli Uffici, con un portale web dedicato. Basta un semplice click dal computer, spesso. E per questo mi attiverò per una wifi aperta ed accessibile, gratuita, non solo nel Centro Storico, ma possibilmente in tutto il territorio comunale.
Un Comune fattivamente partecipato dalla cittadinanza, attraverso gli strumenti che già sono previsti dal Regolamento di recente approvazione, ma ancora inattuati, e con l'uso del bilancio partecipativo e degli altri metodi di nuova concezione, penso ai world cafè o ai più impegnativi town meetings. Cittadinanza che finalmente potrà esprimersi nei temi che la riguardano, superando la logica del Comitato per singole questioni contingenti.
Questo e altro. 


CONCLUSIONI:
Questa bacheca non sarà utilizzata  sempre e solo ai fini elettorali per i pochi giorni di campagna elettorale che restano, ma l'impegno sottostante ci sarà. E  Daniela Grossi sarà sempre la stessa, quella che la maggior parte di voi conosceva prima del sì alla candidatura.

mercoledì 18 aprile 2012

La spilletta voodoo (perché è quello che ci farei, a chi ha inventato questa genialata)

E' l'istinto che mi fa scrivere, stasera.
L'istinto di femmina che non ci sta a certi luoghi comuni. 

E passi per la strumentalizzazione del corpo della donna, passi per modo di dire, ma se una ragazza decide di prostituirsi per un vecchio posso anche pensare che lo abbia fatto e lo faccia per scelta, condivisibile o meno. Certo, meno condivisibile il vecchio che sfrutta situazioni di bisogno o usi il suo potere per ottenere la ragazza.
Passino tante cose. 

Ma quello che non passa è che, mentre da un lato le donne fatichino per arrivare a fine mese e per farci arrivare la famiglia (quelle che ce l'hanno) un'azienda importante, La Rinascente, imponga alle sue lavoratrici che si rivolgono al pubblico, le commesse (nome che ci ricollega al rassicurante mondo degli anni Cinquanta), l'uso di una spilletta equivoca al solo scopo di procacciare nuovi "clienti" di una tessera fedeltà. 

Ah, fedeltà: bella parola. 
Fedeltà al consumo. 
Al prezzo di "Averla è facile. Chiedimi come". 
Averla che?

A parte lo slogan che richiama quello di una multinazionale di integratori (tra cui uno che sostituirebbe la famosa pillola blu - sono una venditrice pentita e so di che parlo) e qui, fossi nei suoi legali, attiverei subito una bella causa per tanti zeri, è proprio l'espressione ad essere squallida. 
Uno squallore che mal si addice all'immagine dell'azienda, che mai avrei creduto si potesse abbassare a tanto, e che si confà perfettamente ai tempi.
E poi, ovviamente, le commesse, che devono far sì che il cliente possa "averla", devono pure sottostare al "giorno delle coccole", con un'altra spilletta dall'acronimo usato dai bimbiminkia (sì, si chiamano così quelli che parlano in questo modo sulla Rete, ma forse il creativo non lo sa) "TVTB", con tacchi alti e minigonna. 

Mi piacerebbe sapere se nel futuro prevederanno anche le salette per apposite coccole, qualora non sia stato raggiunto il budget previsto per le tessere fedeltà.

Scusate se appaio femminista, ma prima di tutto sono femmina.

Angolazioni e prospettive, distorte e contorte (dipende)

Sono diversi mesi che la mia vita è cambiata.
Non in peggio, non in meglio. Cambiata e basta.

Altri impegni, altri pensieri, altre persone, volti e voci diversi, nuovi, piacevoli talora e spiacevoli talaltra, persone effimere nella tua esistenza e altre che forse rimarranno anche "dopo".
Impegni che sostituiscono altri meno urgenti e meno importanti, oppure che si affiancano e si sovrappongono alle usuali incombenze.

Non vivi per la politica, vivi per il lavoro, per la famiglia.

Sei una persona normale con interessi normali prestata a questo mondo speciale per qualche mese, forse qualche anno, non di più. Sei prestata agli altri, insomma.
Ti metti in gioco, sapendo che è un gioco a termine e non avresti partecipato, se fosse stato diversamente.
Ed è per questo che sei sempre un po' alla finestra, da osservatrice-giocatrice.

C'è chi ti vorrebbe coinvolgere di più e un po' lo fai, ma il passo indietro resta, è il filo che ti tiene legata al mondo reale, quello che vorresti cambiare, non perdendo il contatto con ciò che tutti i giorni ti circonda: il tuo mondo, il mondo di tutti, i tuoi affanni, gli affanni di chi vive la tua vita, che non è né speciale né unica.

E' la vita di chi affronta il mondo con mille peripezie, tra un lavoro (che hai dovuto scegliere part time obbligatoriamente, come molte altre donne), la famiglia e le briciole del resto.

Ed è forse per questo che appari strana a chi del tuo mondo non fa parte.


sabato 14 aprile 2012

Organizzati!


“Organizzati!”

Questa è la parola che noi, sin da bambine, ci sentiamo rivolgere con più frequenza.

Organizzati quando sei figlia e studi  e aiuti in casa, quando fai piccoli lavoretti per contribuire all’andamento familiare, come quando fai da baby sitter o dai ripetizioni.

Organizzati quando sei donna e ti sposi o convivi, e devi pensare al lavoro e alla casa.

Organizzati quando sei madre e devi seguire i tuoi figli nei compiti, nella crescita e poi devi portarli ovunque, tra la scuola e le varie attività, continuando ad organizzarti tra lavoro, marito e gestione della casa.

Organizzati di nuovo quando ritorni ad essere figlia e i tuoi genitori sono anziani e devi assisterli, continuando ad organizzarti con i figli, con il lavoro, il marito e con la casa.

Organizzati ancora se hai qualche malato o qualche disabile da accudire, e continui ad organizzarti come madre, come moglie, come donna e come figlia.

Siamo brave ad organizzarci, lo abbiamo sempre fatto. Siamo diventate esperte, noi.

Ci piacerebbe organizzare anche questa città, così poco organizzata per noi e per  tutti coloro per cui siamo organizzate.

giovedì 12 aprile 2012

Perché

Te lo chiedi e te lo chiedono. 
Perché.

Perché sei donna e pensi che finora le donne come te non sono state rappresentate, donne comuni, che lavorano, che hanno fatto sacrifici personali per arrivare a essere quelle che sono, che sono madri, che hanno figlie femmine  e vorrebbero un mondo, un Paese dove le donne di domani siano diverse da quelle di oggi, migliori, che conquistino lo spazio che finora è stato loro negato da una società virata al maschile. 
Le donne sono il motore di questo Paese, lo hanno cambiato quando hanno potuto, quando hanno voluto, quando hanno sentito il bisogno di farlo, perché chi era lassù, nei luoghi di potere, non ne era in grado.
Tu sei una persona normale, senza ambizioni particolari per te stessa, hai solo il desiderio di aderire ad un Progetto, far sentire la voce di chi non riesce a parlare, perché pensa di non essere in grado, non si sente "adeguata".

Adeguata.

Noi donne comuni non ci sentiamo mai "adeguate", sempre un passo indietro rispetto agli uomini: è l'educazione che da sempre ci è stata impartita. Studia, impara, poi però fai la moglie, la madre, lavora, mai avanti a lui, non si può, non si deve.

E invece no.
Non vogliamo stare indietro, nemmeno avanti. 
Pari.

(sempre che riusciate a tenerci il passo, però)

lunedì 9 aprile 2012

Natale con i tuoi Pasqua con chi puoi

Sì, lo so: non è così il detto, però è calzante.
Ho smesso di amare le Feste, tutte le feste e ho l'onere di santificarle per mantenere viva nella prole l'illusione di concordia, pace e felicità che dovrebbero portare, per non ridurle al mero scambio di doni (Natale ed Epifania) e uova di cioccolata (Pasqua).
Ti ritrovi in contesti di cui non te ne frega una beneamata e sorridi. Su, sorridi, fai la foto! Su, il brindisi tutti insieme. E tu eviti chi dovrebbe brindare con te in primis. Eviti e sei evitata.
Sorridi, tanto che ti fa male la faccia. Ti metti in un angolo, in disparte, non hai assolutamente voglia di scambiare nemmeno  lo sguardo con alcune persone, che negli anni si sono dimostrate quelle che sono.
Allora ti metti a giocare con le bambine, le tue e le altrui, quello sì ti fa sorridere.
Finisce la tortura, arrivi a casa, fai quello che non hai fatto fino a quel momento, perché avevi il copione da recitare, sei diventata un'ottima attrice nel frattempo, tuo malgrado, e aspetti che passi la giornata.
Dormi, ti risvegli e il tempo non è un granchè, mal di gola, mal di testa e aspetti che pure oggi scivoli via.
Domani c'è la vita.

domenica 8 aprile 2012

Post pensato ex post

Una porta. Due persone di spalle.
Una dentro, una fuori.
Quella dentro guarda attraverso un vetro della porta che le divide quella fuori.
Poi volta le spalle e resta dentro.
Un ultimo sguardo verso fuori, la persona di spalle fuori si allontana.
Resta solo quella dentro, di spalle alla porta.

venerdì 6 aprile 2012

Dal 1995 al 2012

Anzi, no: era il 1994. 
Avevo 24 anni, fingevo di studiare Giurisprudenza, pochi esami, mi era passata la voglia.
Quando salivo quelle scale della Sapienza, mi prendeva lo sconforto.
Poi un giorno mi viene chiesto di venire a vivere a Lucca, ci penso un attimo e dico di sì.
A febbraio del 1995 mi trasferisco armi e bagagli.
Una venticinquenne romana in una città d'arte toscana. Solo che pensavo di ritrovare le essenzialità a cui ero abituata a Roma: i mezzi pubblici, i negozi aperti all'ora di pranzo, il mercato che durasse anche dopo le 12, pizzerie e locali aperti fino a tardi. Invece, nulla di tutto questo: poche linee e mal collegate con la periferia; molte, troppe auto per una città così piccola; negozi che chiudevano (e molti tuttora chiudono) alle 12.30/13.00; un mercato (e parlo non di quello ortofrutticolo, che praticamente era inesistente) che all'ora di chiusura degli uffici (e quindi quando le persone possono essere un po'  più libere per gli acquisti) si smaterializzava; dopo cena non c'era più niente aperto, salvo qualche rara eccezione.
Insomma, tornavo ogni tanto a casa, a Roma e rifiatavo.
Le persone lucchesi, altro mistero: molta buona educazione, ma un certo distacco. Per molto tempo mi sono sentita estranea, "piovuta", come si suol dire qui. Curiosità verso Roma molta, verso le nostre abitudini ("pranzate sempre tardissimo, voi al Sud", che poi invece pranziamo verso le 13 e se è più tardi, è per motivi di lavoro, non certo per abitudine) ma anche un certo timore, come se fossimo marziani.
E vabbè, pensi, gli passerà.
Il rispetto te lo guadagni col lavoro e con la serietà.
Poi ti sposi (a Roma, in Campidoglio) e ti trasferisci da San Marco a S. Alessio, in Corte Pistelli, e ti allontani sempre più dal centro. 
E' il 1998. 
Sempre meno bus, sempre più orari assurdi per l'unica linea che collega quella zona con la città ("si può andare in centro alle 15 e rientrare alle 17? e se i negozi aprono alle 16.00/16.30 come faccio?") e a te non va assolutamente di guidare.
Odi guidare. La patente l'hai presa perché a 18 anni si prende, la patente: ti hanno regalato i soldi sufficienti per iscriverti a scuola guida e quei soldi vanno spesi in quello, nella patente. Solo che poi, una volta presa, tu a Roma non hai mai toccato un'auto, praticamente, l'unica volta che l'hai fatto hai lasciato una strisciata (della macchina di tuo padre) su tutta la fiancata di una BMW blu nuova di zecca parcheggiata in una via dei Parioli e da allora non hai più guidato.
2003: Camilla
2006: Ginevra
Le figlie, il tuo biglietto da visita per diventare accettabile, l'asilo prima e poi la scuola elementare, le frequentazioni tra genitori, riunioni e festicciole.
Per motivi legati alla salute di Ginevra, devi portarla tutti i giorni all'ospedale, per la fisioterapia e allora le scelte sono due: o conosci tutti i tassisti di Lucca (e li conoscerai per qualche mese, anzi un anno, più o meno) oppure ti decidi a salire su quella macchina che hai e che hai fatto seppellire dalla polvere, dopo aver ripreso qualche lezione, e la conduci tu dove vuoi. 
E così è. 
A Lucca devi necessariamente muoverti con l'auto per ogni dove, a meno che tu non abiti in centro, ma anche se abitassi in centro l'uso dell'auto sarebbe necessario ("ah, come rimpiango Roma, i suoi monumenti, i suoi musei, i suoi autobus, i tram, la metro..."), risalendo su quella macchina hai firmato la tua condanna a tassista di tue figlie fino alla loro maggiore età.
Nel frattempo anche la città era diventata meno chiusa, un po' più di vitalità, o forse sei tu che ti sei adattata, in fin dei conti sei diventata più "matura". 
Forse la maternità ti ha fatto apprezzare aspetti che prima non consideravi e la tranquillità di una città di provincia diventa stile di vita.
Qualità di vita, espressione che a Roma è sconosciuta, nel senso positivo. Nel Lazio addirittura Utopia.
E decidi che puoi fare qualcosa di buono. 
Le figlie crescono e tu puoi dedicarti a quello che ti è sempre piaciuto, anche quando eri all'Università a Roma, pur osservandolo come da un vetro.

(continua al prossimo post)




Ho 41 anni anche se me ne danno 42

Ho 41 anni, ho due figlie, sono sposata, sono nata a Roma, vivo a Lucca, lavoro part time a Pisa e ho accettato di candidarmi per il mio Partito, l'unico veramente Democratico, al Consiglio Comunale della mia città, Lucca, per elezioni amministrative del 6/7 maggio 2012.

Perchè?



Lo saprete al prossimo post.

sabato 31 marzo 2012

Intercity 511 Pisa - Roma 15.10 / 18.05

Stai sul treno, scompartimento pieno, sei seduta e le tue bambine pure. 
C'è chi dorme, chi legge, chi sta sul pc, loro mangiucchiano, giocano con le venti bambole venti che si sono portate negli zainetti (rigorosamente a spalla, io ho la valigia, ognuna di noi tre sa che dovrà badare al proprio bagaglio), scrivono, disegnano, chiacchierano, ridono, cantano.
Probabilmente chi dorme finge di dormire: è inverosimile che ci riesca, non stanno ferme un attimo ed intervallano i loro continui movimenti con richiami alla madre (cioè me) per vestire le bambole, passare loro l'acqua, i biscotti, le penne, i quaderni, tirare loro giù lo zaino dal vano portavaligie in cui l'ho confinato. 
E recuperano l'astuccio sotto la poltroncina, da cui hanno staccato il poggiatesta, si specchiano, si tolgono le scarpe, si mettono sdraiate, riprendono le bambole, il DS. 
Ah, il DS: il motivo delle loro liti perenni. Per fortuna ora non ci pensano, al DS e spero che per tutto il viaggio non lo facciano.
Le ho minacciate di chiuderle in bagno se urlano o se litigano, per ora funziona.
Però è bello il treno, consente cose che l'auto non permette, anche di farle scorrazzare lungo il corridoio (ancora non ci hanno pensato, ma c'è ancora un'ora, ci penseranno senz'altro).
Il mio vicino di poltrona sorride divertito alle loro birbonate e alle loro risa.
Dal corridoio si sentono urla di bambino, allora c'è qualcuno qua che sta peggio di me, penso con fare consolatorio.
In borsa ho portato il dentino che Ginevra ha perso ieri, il topolino non è arrivato (madre degenere! ieri sera avevo troppo sonno e ho dimenticato di metterle i soldi sotto il cuscino), come quando lo perdette Camilla, stessa storia, stessa mamma smemorata e stesso viaggio del giorno successivo verso Roma. Stanotte il topolino romano passerà e probabilmente porterà soldini anche per l'altro dentino, che è sul punto di lasciare quella bocca bambina.
Manca un'ora e quelle due ridacchiano. 
Sono sempre felici quando vanno dai nonni.
Sono sempre felice quando torno a casa.

lunedì 26 marzo 2012

Post buttato là

Osservi, noti, studi, rilevi.
Non serve a niente tutto ciò, eppure lo fai. Nulla serve, tutto serve, ti hanno insegnato.
Vedere, guardare, osservare con attenzione. 
E capisci i comportamenti e attribuisci a loro un significato logico, pure se di logica non pare ne abbiano.
E poi le coincidenze fortuite, ma quanto sono in effetti dovute al caso e quanto queste coincidenze sono frutto di scelta consapevole?
Ecco che ritorni ad osservare ciò che ti circonda ed anche quello che ti dovrebbe essere lontano, ma che in qualche modo ti sfiora, una foglia che svolazza nell'aria e poi ti cade ai piedi. 
Perché?
Ma te lo chiedi davvero il perché, oppure sai già la risposta?

martedì 20 marzo 2012

Ci sono riuscita alle 21.00. Figlia tenace.

Mio padre.
Mio padre è sempre stato un immaturo, un bambino cresciuto.
Mio padre non mi portava al parco, a giocare, a correre con la bici. 
Mio padre doveva lavorare.
Mio padre la domenica mi portava in giro per il centro, apriva un libro sulle strade di Roma in una pagina a casa e quella domenica giravamo per quella strada, in cerca di quei monumenti, di quelle chiese misteriose, di quei musei, senza contare quelli che vedevamo i 21 aprile, quando gli ingressi erano gratis.
Mio padre mi portava all'Olimpico a vedere la Roma (fino a Roma-Lecce, poi non mi ci ha più portata :D)
Mio padre d'estate mi portava al mare, a Fiumicino, ad Ostia fino a quando non mi mandava dai nonni in Sardegna.
Mio padre mi ha insegnato il piacere della lettura, dei libri, dei giornali.
Mio padre voleva insegnarmi a giocare a carte ma non mi è mai piaciuto il gioco, tutti i giochi.
Mio padre mi ha sgridata fino a farmi piangere perchè in prima media ho portato tutti "ottimo" e non "eccellente".
Mio padre aveva il terrore di insegnarmi a guidare, perchè lui è più pazzo di me, alla guida.
Mio padre mi ha insegnato l'arte tutta romana di non prendersi mai troppo sul serio.
Mio padre ancora oggi mi fa sorridere con la sua voce da Alberto Sordi.

Ora, papà, se ti fai trovare a casa riesco pure a telefonarti e a farti gli auguri per la tua festa. Perchè tu il cellulare non sai nemmeno come si accenda.

giovedì 15 marzo 2012

Malattie da social network (3). Il pokismo.


La carrellata di socialpatologie prosegue.
Ora è la volta del pokismo.


Per chi non conosce cosa sia il poke, illustrerò in poche parole questa funzione dai più trascurata, perché apparentemente inutile. Apparentemente, perché avrebbe la finalità, attraverso la pressione dell'apposito pulsante, collegato ad un certo utente, di sollecitare l'attenzione di quest'ultimo verso l'autore del poke, appunto.
Una sorta di squillo, di "toc toc, mi consideri?", insomma.

Il pokista è spesso un malato cronico, di genere per lo più maschile, che rivolge il suo agire verso l'altro sesso, convinto che questo non aspetti altro che venir sollecitato da tali attenzioni.

Peculiarità del pokismo, rispetto alle patologie precedenti, è che non è virale, non si diffonde, anzi il pokista in genere viene subito posto in quarantena, isolato, attraverso la non risposta al poke, normalmente ignorato o addirittura cancellato (cliccando sulla x che segue il "rispondi al poke").

E' stata sviluppata persino una terapia d'urto, definitiva, che consiste, dopo una prima cancellazione dall'elenco amici, nel segnalare (e poi bloccare) come molestatore (e far segnalare da altre persone, bastano circa 30 segnalazioni e la terapia diviene efficace) il pokista che, non avvedendosi di essere malato, prosegua nel suo operato, cercando vanamente di infettare il destinatario del poke stesso. Attraverso questa metodica, il pokista viene eliminato dal social e confinato nel mondo reale, fintantoché non si ricrei una nuova identità, riallacci nuovi legami virtuali e provi a riprendere l'attività interrotta.
Ma necessariamente decorre del tempo prima che accada di nuovo e questo può far sperare in una riabilitazione pressoché completa.

Passiamo ora alla definizione delle varie tipologie di pokista:


1) pokista "da rimorchio": è la più classica, consiste nel cercare (maldestramente) un avvicinamento all'altro genere, pensando di essere simpatico. Il pokista da rimorchio normalmente si attende una risposta, che può essere: un altro poke, un mipiace buttato là (v. altro post dedicato) solo al fine di zittirlo (ma in genere si ottiene l'effettoopposto) oppure, il caso più frequente, ovvero (come illustrato sopra) la cancellazione del poke, fino ad arrivare alla segnalazione, al blocco, passando per la cancellazione dall'elenco amici (più precisamente, contatti).


2) pokista "ping pong": è il pokista che si diverte come fosse uno dei partecipanti ad una partita di ping pong.  Fa partire il primo poke, attende la risposta, questa arriva, risponde, e così via. Al termine non c'è nessun vincitore. Non si capisce il senso logico di un tale gioco, ma stiamo pur sempre nell'ambito di malattie.


3) pokista "da competizione": è chi colleziona poke, fino ad averne anche una cinquantina da cinquanta persone diverse. Attende di avere un numero congruo di poke, poi esegue uno screen shot della sezione relativa, la pubblica sulla sua bacheca, tagga i nomi dei partecipanti, li ripoka ed attende le risposte e sui commenti e con i poke. E poi prosegue. Chi colleziona più poke vince. Cosa vinca non è dato sapere.


4) pokista "non sono tuo amico, ma se ti poko mi aggiungi?": immaginate l'esito. Ban immediato.


Nel prossimo capitolo analizzeremo gli utilizzatori di chat.
Stay tuned.



Malattie da social network (2). Il mipiacismo

Altra malattia endemica da social network: il mipiacismo.

Si manifesta con un'improvviso e convulso cliccare sul simbolo del pollice recto, oppure sulla combinazione di due parole ("mi" e "piace") poste alla fine di uno status, di un commento o di un link.
Talora si produce in approvazione incosciente di pagine (appositamente definite "fan", ovvero traduzione inglese della parola "ventilatore" proprio perché finalizzate alla diffusione rapida e virulenta di tale patologico atteggiamento) di cui non si conoscono minimamente i contenuti, solo in virtù di questa forma ossessivo compulsiva di click.

Il mipiacista si riconosce perché non scrive molto, spesso è laconico nei suoi commenti, usa il click per sostituire un "hai ragione, approvo quanto dici" oppure per far capire velatamente al commentatore improvvido che è ora che la faccia finita di commentare.


Nella fase acuta troviamo una recrudescenza di pagine e di click e nella casella mail del mipiacista giacciono non letti migliaia di messaggi di aggiornamenti sulle pagine, che mai verranno cestinati, poiché privi dell'apposita icona su cui cliccare.


I mipiacisti non si riconoscono nell'utente-tipo da social network, in quanto, ritenendo la loro presenza e la loro attività inosservate e inosservabili, spesso si producono in mipiace anche contraddittori con la loro idea, attività professionale o, peggio, condizione sociale e stato civile.
Ma è un loro pensiero: l'attività del mipiacista è visibilissima e ad un occhio attento e ad un utente distratto, in quanto spesso il malato, catturato dalla foga di digitare, non cura con attenzione la propria bacheca (o wall, che dir si voglia) e non provvede a nascondere il frutto del suo click o, peggio, a cancellarlo, per cui è frequente che la sintomatologia diventi evidente, senza necessità di percorsi analitici complessi.

Purtroppo, anche per questa patologia, c'è cura, anzi spesso il mipiacismo sfocia nel più endemico pokismo, ma a questa evoluzione patologica dedicheremo apposito post. 

mercoledì 14 marzo 2012

Malattie da social network (1). Il puntinismo.

Parleremo delle patologie indotte dai social network.
In questo post tratteremo del puntinismo.

E' una malattia che porta all'abuso dei puntini di sospensione, nelle forme più acute si associa alla duplicazione o addirittura triplicazione dei punti interrogativo e esclamativo, con la contemporanea scomparsa del punto e virgola. 
Si cronicizza quando sparisce la consecutio temporum, specie attraverso la sostituzione del congiuntivo con l'indicativo.

Il puntinista assiduo intercala il suo discorso con frequenti sospensioni del pensiero, che rappresenta con una sequenza di puntini che va da un minimo di tre ad un massimo indefinito, presumibilmente in linea con la sospensione dell'attività sinaptica in essere.

La puntinista si distingue dal puntinista per l'uso smodato di cuoricini, specie al termine della sequenza puntinica o addirittura in luogo di essa. 
Ciò provoca in un lettore attento, ma anche in quello più distratto, un improvviso innalzamento del tasso glicemico e al contempo un ricorso frequente al locale del bagno, a causa di dissenteria acuta o conati di vomito.
E' l'unica patologia che colpisce il malato (nella fattispecie, la puntinista) e chi, pur non essendolo, gli gravita intorno, in qualità di lettore, di genere indifferenziato.

Non c'é cura.

sabato 10 marzo 2012

Pare facile.

Sei a letto, finalmente. Tue figlie, un'ora fa, hanno deciso di farti compagnia e si sono installate nel tuo letto, complice quell'innocua farfallina ignara di essere un pericolo mortale, pericolo che volteggiava intorno alla lampada della loro cameretta.
Sei a letto dunque. Ginevra che ogni tanto ti lancia una mano sulla faccia, mentre dorme, e si spalma addosso a te, che hai trovato una chiavetta usb per collegarti ad internet che pare funzioni.
Sei a letto, era ora. Hai i piedi che fumano, due giorni in cui non ti sei risparmiata. Certo, non è un granchè quello che fai, ma per le tue abitudini è già oltre. Imparerai a superarlo, quell'oltre.

Oggi è andata, ieri notte non eri riuscita a dormire, in ansia probabilmente. Comunque è una sorta di nuovo passaggio, andrà come andrà, il lancio è stato effettuato. Hai sempre quell'ansia, prima. L'ansia tipica di qualcosa che ti avventuri a fare, ma che non conosci ed allora metti in conto tutte le eventualità ed anche il fatto che comunque creerà qualche ripercussione nella tua vita di tutti i giorni.
Il piacere di rivedere una persona a te cara, delle risate su un libro e su certi gadget, poi donne, stanchezza e ora il letto.

Due mesi. Due. 
Un po' più di pressione sull'acceleratore dei tuoi impegni e vai. In ogni caso andrai.

E poi, comunque, il relax di un paio di giorni in Sardegna. Quello è certo.

Gotye - Somebody That I Used To Know (feat. Kimbra) - official video

Pensiero rubato.

Lontano dalle anime belle dagli stronzi, ci sono le persone ed i loro problemi.

martedì 6 marzo 2012

Felicità a piccole dosi

Quando sei giovane o quando, pur essendo più avanti con gli anni, il tuo cuore non risponde alla tua età, consideri la felicità quel momento in cui il cuore ti batte in petto così velocemente, e ti sembra che esploda all'improvviso.
La felicità è uno scoppio, istantaneo, momentaneo, temporaneo e poi la serenità: dovrebbe essere così, deve essere così. Pensi.
E per tutta la vita lo cerchi, quello scoppio, solo che a volte non è così percepibile, vorresti fosse visibile, un'esplosione di luce, suoni e colori. Te l'hanno sempre dipinta così, i romanzi, i libri, i film.
Non è sempre così percepibile, non sempre, anzi spesso è proprio silenziosa, la felicità. Ti entra dentro e lo capisci (se sei fortunata) quando sei "strana", oppure, più spesso, dopo. 
Dopo, ma dopo è tardi e allora subentra il rimpianto, se non sei in grado di rimboccarti le maniche e darti da fare per conseguirne una nuova. E quella serenità che ti hanno insegnato venire dopo è in realtà la rassegnazione.
Consumismo della felicità, questo ci hanno insegnato. Tutto ha un prezzo, tutto si esaurisce.
E poi, quando ti guardi allo specchio e vedi le rughe intorno agli occhi (che ti piacciono da matti), pensi che di quella felicità usa&getta non te ne fai di niente, che è altro a cui ambisci.
Preferisci le piccole dosi: tieni ferme le tue certezze, che altro non sono che i prodotti della tua creatività di donna, e con loro assapori i momenti dei sorrisi, delle risate, dei canti in coro in auto quando seguite la canzone che piace a loro e del fare pace quando mettono il broncio.
E il tuo lavoro, le tue piccole soddisfazioni, quel tuo modo di fare di accattivarti le persone con una battuta di spirito, una frase buttata là in maniera cosciente.
Gli amici, quelli che hai sempre avuto, che per anni hai un po' trascurato, ma che sono sempre là (perché tu ci sei sempre per loro) e quelli che negli ultimi anni hanno riempito la rubrica del tuo cellulare e quelli che non ci sono più, ma che conservi nel cuore per sempre perché si sono dimostrati Amici oltre il consueto.
E le passioni, quelle che anni fa mai avresti pensato di coltivare, l'impegno per te, per tue figlie e per gli altri.
Basta poco, anche un pranzo sulle Mura con la tua amica del cuore, rubando il tempo alla quotidianità, respirando aria pulita e chiacchierando di futilità e di senso della vita.
Questa è la mia felicità.
Non servono luci o colori, serve un sorriso.

lunedì 5 marzo 2012

Copio/incollo dal blog di Cecilia Carmassi perché al tema tengo molto


\\ Home Page : Articolo
quando vincono le donne non perde nessuno
Di cecilia (del 04/03/2012 @ 23:59:10, in cosa bolle in pentola, linkato 29 volte)

APPELLO
Quando vincono le donne non perde nessuno
Siamo donne lucchesi. Siamo donne preoccupate dallo stato di degrado e del rischio di fallimento del Paese, governato sostanzialmente da uomini, con una partecipazione delle donne troppo episodica ed esigua.
Oggi siamo qui a pagare i danni causati da governi diversi, che nei decenni non sono riusciti a dare adeguate risposte alle esigenze del Paese, che hanno prodotto un alto debito pubblico al quale non corrisponde nemmeno una adeguata offerta di servizi pubblici.
Oggi siamo qui a subire, più degli uomini, le pesanti manovre finanziarie che hanno colpito il welfare sui nostri territori ed hanno innalzato bruscamente la nostra età pensionabile, un insieme di misure che puniscono soprattutto noi donne e la coesione sociale e intragenerazionale di cui siamo protagoniste.
Noi donne, lavorando fuori e dentro casa, occupandoci di figli, anziani, malati, siamo di fatto l’unico welfare del Paese; sappiamo negoziare, praticare la tolleranza e la cura delle persone e delle cose; sperimentiamo sulla nostra pelle ogni giorno cosa non funziona nelle città. Conosciamo i sogni, i bisogni e i desideri di una comunità: lavorare, abitare, disporre di servizi sociali adeguati, avere una scuola migliore, riscoprire la solidarietà e il senso di responsabilità.
Desideriamo una “governance”, fatta di intelligenza, concretezza, intuito, creatività, affetti e “cura”. E’ la nostra voglia di costruire relazioni più serene e meno competitive, di costruire solidarietà e corresponsabilità, di basare il governo del territorio sulla condivisione e la cura verso le nuove generazioni . Noi donne, oggi più che mai, vogliamo riprenderci il nostro futuro, un futuro dove non ci sia spazio per la violenza maschile, nelle sue forme esplicite e mascherate, dove non ci sia più subalternità, dove anche il diritto alla felicità sia uno degli obiettivi della buona politica.
Per questo diciamo che è giunto il momento di dire basta; vogliamo produrre un cambiamento su base locale e nazionale e fare sentire chiara e forte la nostra voce. Siamo la maggioranza in questo Paese e nessuno può più permettersi di ignorare i nostri pensieri e rinunciare ai nostri contributi.
Vogliamo partire dalle Amministrazioni Comunali, poiché l’equilibrata rappresentanza dei sessi negli organi amministrativi garantisce l’acquisizione di un patrimonio umano, culturale, sociale, di sensibilità e di professionalità che solo la diversità di genere può assicurare.
Per questo vogliamo che la nuova Giunta sia composta, per metà, da donne, e che lo stesso principio venga tenuto in debito conto nella definizione dei Consigli di Amministrazione delle Aziende partecipate.
Nel dicembre 2008, la Commissione Pari Opportunità della provincia di Lucca ha chiesto agli Enti Locali l’adeguamento dello Statuto per l’introduzione del principio della parità (50% alle donne) nelle nomine di competenza. Crediamo sia giunto il tempo di dare continuità a quella iniziativa che prendeva atto di una anomala sotto rappresentazione delle donne in tutti gli organismi decisionali di questo territorio.
Inoltre desideriamo che a livello comunale sia presente una Commissione Pari Opportunità tra uomini e donne che sappia valorizzare il punto di vista delle donne impegnate nelle associazioni, nelle organizzazioni dei lavoratori e datoriali, nelle stesse forze politiche e contribuisca ad indirizzare correttamente il governo della città per il benessere di tutti.
Consapevoli che anche molti uomini condividono tali riflessioni, invitiamo uomini e donne a firmare questo appello col quale chiediamo che sia sancita, senza possibilità alcuna di equivoco, la rappresentanza paritaria delle donne. Questo stesso principio di equilibrata rappresentanza dovrà essere alla base della formazione delle liste elettorali per determinare un maggiore equilibrio nella composizione del Consiglio Comunale.
Chiediamo alle candidate e candidati, ai partiti politici e alle liste civiche di sottoscrivere questo impegno e di realizzarlo compiutamente.
Comitato SE NON ORA QUANDO di Lucca e provincia
per informazioni e adesioni contattaci qui:
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se vuoi darci una mano puoi scaricare qui l'appelloe farlo firmare
http://www.ceciliacarmassi.it