giovedì 26 novembre 2015

Di principesse e di guerriere. Post banale, solo per perditempo.

Nasci femmina, cresci femmina, vivi femmina e muori femmina.
In questo lasso più o meno lungo di tempo, i tuoi modelli, i tuoi ideali, i tuoi sogni e le tue aspettative, illuse, disilluse e realizzate che siano, cambiano da un estremo all'altro.
Le favole che abbiamo letto da bambine ci raccontano di bambine maltrattate da streghe, salvate da principi, cacciatori; bambine che poi trovano il riscatto della loro esistenza o morendo con l'ultimo fiammifero che si spegne oppure sposandosi con il principe di turno, che non fa niente che è brutto come un rospo e si comporta come una bestia, tanto il nostro amore lo salverà e ce lo renderà bellissimo e buonissimo ai nostri occhi e pure a quelli della società, e col matrimonio che sistema tutta l'esistenza di quella povera bambina, che dorme perché punta da un fuso, che sta fra la cenere, che mangia la mela stregata, anche la famiglia, pure quella cattiva, il reame, il Paese, la Nazione vengono sistemati, in modo che tutto torni all'equilibrio che era stato minato. 
Semplice, no? Non ci vuole niente.
Questo è quello che ci hanno propinato, a noi donne ultraquarantenni di oggi che eravamo troppo piccole allora per partecipare ai furori del 68 ed oggi siamo troppo grandi per trovare il nostro riscatto in modo diverso da quello delle bambine delle favole. Ci siamo dovute passare, per il ruolo di principessa, un po' addormentate, un po' con la cenere, poi abbiamo avuto il nostro reame, fatto dalle 4 mura di casa, dal nostro contesto sociale, fatto di mariti, lavoro (ma non troppo sennò chi pensa alla casa, alla famiglia?), figli, scuola e qualche the con le amiche, ma senza esagerare. E poi il castello di vetro, per molte di noi, va in frantumi, per i più vari motivi. Chi per il peso di una famiglia che da sola è troppo da gestire, chi per l'insoddisfazione a vedersi relegare in un contesto limitato, chi per una malattia, sua o di un congiunto, chi perché il principe consorte ci mette una bomba sotto, chi perché il suo castello va in frantumi e basta.
E allora si passa ad un ruolo sconosciuto finora, quello della guerriera: giù la corona, il vestitino azzurrino che tanto ricorda un grembiule o una vestaglia da camera e su con l'elmo, lo scudo e l'armatura, con tanto di spada e mazza ferrata.
Ognuna di noi ha il suo campo dove deve affilare le armi: il lavoro, dove si trova a competere con altre come lei e con altri che non capiscono che ci faccia là, tra di loro, quando ha dei figli a cui badare e un focolare da non far spegnere; la salute, che per alcune di noi fa rimpiangere il mostro delle favole, che basta un "vissero tutti felici e contenti" per chiudere la pratica, invece questo finale è sempre rimandato di mese in mese, di anno in anno; i figli, quando si hanno, che aiutarli a crescere è una missione che ti trasforma da genitore, in autista, in agente segreto, in confidente e in carceriere, quando serve.
E ti chiedono pure di conciliare i ruoli, i personaggi da interpretare, un po' principessa, un po' regina madre, un po' guerriera, perché la perfezione ti deve appartenere, sennò scattano i sensi di colpa per non riuscire ad accontentare tutti. E quando non riesci, ti viene rinfacciato che non sei più quella di prima, che hai perso freschezza e spontaneità, che lo scudo e l'armatura ti irrigidiscono rispetto agli altri e invece non sa, chi ti rinfaccia, che la prima verso cui sei rigida sei te stessa, che vorresti tanto tornare a quella di prima, ma il prima è una bolla di sapone, volata in cielo e dissolta ormai da troppo tempo e non esiste nulla che possa ricreare quell'effetto. Non sei più quella di prima, ma spesso sei meglio di prima, hai acquisito una nuova consapevolezza e l'armatura ormai ti è entrata dentro, non serve più a difenderti o ad attaccare ma serve solo a ricordarti che c'è e, come ti ha dato un aiuto quando ne avevi bisogno, potrà dartelo ancora.
Non sei più né principessa né guerriera, sei soltanto una donna.

giovedì 30 luglio 2015

Complicità tra simili

E' sera, vai al super per una piccola spesa, pure se alla fine esci con molto di più e molto di diverso da quello per cui eri entrata. Fai un giro al settore cosmetici perché hai finito la crema da giorno e non ti va di comprarla dove andrai in vacanza, ti piace arrivare con il kit completo, che poi magari non userai mai.
Poi esci dal super e ti avvi verso l'uscita, ti fermi ed entri nella nuova profumeria che da qualche mese ha aperto e che tu hai già esplorato.
E' parecchio tardi, il super sta per chiudere e la commessa si affretta a concludere una vendita con una signora, che ha acquistato un profumo.
Nell'uscire, la donna, ma tu l'hai già inquadrata e l'hai catalogata tra le tue simili, dice che i regali se li fa da sé, visto che nessuno glieli fa, e che quando uscirà dall'ospedale tornerà a fare acquisti più impegnativi, dal punto di vista cosmetico. E tu, che avevi giù capito, sorridi, annuisci e le dici che il tuo più bel regalo di compleanno te lo sei fatta l'anno scorso, il giorno prima, quando finalmente sei andata dal giudice. Poi la saluti con un "auguri, collega" e da lì il suo commiato diviene un fiume in piena. La commessa è imbarazzata, ha fretta e si vede e a te un po' dispiace, ma la donna ha voglia di raccontarsi, di sfogarsi. E racconta del suo tumore, del suo chirurgo, di come ha affrontato la malattia, escludendo un marito assente, medico,  non dicendogli nulla del cancro fino al giorno prima dell'intervento, un marito che l'accusa di stare male, facendogliene - non si capisce come mai, ma accade spesso - una colpa, e di lei che ogni volta, ogni recidiva, incassa e va avanti. E tu ti ci ritrovi, nel tuo pezzettino di vita, diverso per fortuna e per ora dal suo, ma tu sei libera e lei no, non lo è dal cancro e non lo è da un rapporto matrimoniale consumato, però ti ci ritrovi. E ti ci ritrovi anche nel desiderio di raccontarsi, di raccontarti, come accade alla maggior parte di noi, che abbiamo voglia di urlare che ci siamo nonostante tutto, la malattia e gli altri, quelli che ti guardano strani e quelli che magari hanno sperato che tu ci lasciassi le penne.
Non capiterà, non capiterà ora e forse lo faranno loro prima di noi, nel frattempo viviamo e lo urliamo, nei modi che possiamo e che sappiamo.
Un in bocca al lupo all'unisono e sono uscita dal negozio con una crema viso ed una terra in più.

lunedì 13 luglio 2015

Roma

Ormai sono passati più di 20 anni da quando ho lasciato la mia città. L'ho lasciata per un futuro da costruire, delle speranze, delle illusioni in parte oggi deluse, ma l'ho lasciata senza rimpianti, allora.
Oggi farei di tutto per tornare, se fosse minimamente possibile, ma quel che lascerei qui sarebbe difficile avere là.

Però è la mia città, la città che amo come fosse una madre, quella città fatta di polvere, di colore, di quei tramonti rossi che solo Roma ha, del profumo del gelsomino che si spande nelle notti d'estate dalla siepe del vialetto d'accesso di casa mia e che riempie le narici di chi passa, del venticello che non manca mai, specie quando serve, del mare ad un passo e dei parchi che così belli non credo ci siano altrove in Italia.

E' la mia città e ne vedo i lati oscuri e quelli meno ideali. Il traffico, lo smog, la sporcizia, il degrado, il rumore ma è la mia città e anche quei difetti diventano pregi, pietra di paragone per altre realtà, come quella in cui vivo.

Leggo di romani schifati, che farebbero di tutto per andare via: ecco, io ero una di loro, non mi sentivo a casa a Roma, pensavo di trovarla altrove. E poi mi sono resa conto che casa ero io, ovunque fossi e che una città vale l'altra, a parte quella in cui sono nata ed ho passato i momenti più belli della mia vita (nascita di mie figlie esclusa). 

Se non stai bene in te stessa non stai bene da nessuna parte, ho imparato in questi anni, e ancor più in queste settimane di solitudine pre-ferie, dove il tempo si dilata e fa compagnia al silenzio e non ci sei altro che tu.

giovedì 16 aprile 2015

Scusami, mi sono dimenticata.

Scusami, mi sono dimenticata.
Mi capita spesso ormai, e pensare che la memoria era una delle mie doti più spiccate. Sì, mi capita spesso, mi sento come disallineata e devo segnare tutto, appuntamenti, date e impegni. Ecco, proprio ora mi sono ricordata di aver dimenticato che alle 18 avevo un appuntamento, ma oggi non è giornata, non l'avevo segnato in agenda ed è andato. Vabbè, pace, se non mi hanno visto avranno capito che non sarei andata.
Mi capita spesso, come mi capita spesso che quando afferro qualcosa questo qualcosa cade in terra, mani di burro, dicono. Io non lo so, però cade.
E il sonno, se non prendo il mio integratore ecco qua che la notte diventa giorno, ma i pensieri si gonfiano e diventano enormi. Poi dormicchio un po', tra un pensiero e l'altro, e al mattino mi alzo e inizio la giornata, in attesa del sonno serale, sempre che mi ricordi l'integratore o abbia la voglia di prenderlo.
Mi sono dimenticata, ti dicevo, ma oggi mi sono ricordata, è il 16 e ieri era il 15. Solo che ieri ho avuto da fare e mi è sfuggito. Oggi no, non mi è sfuggito, mi sono ricordata mentre la fisioterapista mi massaggiava per farmi sgonfiare il braccio, quel braccio che poi mi è stato fasciato, quel braccio che non ci posso più mettere un bracciale o un anello, che sennò si rigonfia. Sì, in quel momento mi è venuto in mente, ma ormai come faccio, è tardi, un giorno in più.
Mi sono dimenticata perché ieri ho avuto da fare, organizzo la mia vita cercando di dimenticarti e ieri, proprio ieri!, ci sono riuscita, ma ieri non dovevo, ti dovevo ricordare!
Mi ricordo di te quando sono nervosa, e magari sono due giorni prima dell'iniezione mensile e allora mi ricordo che devo farla tra due giorni, e mi ricordo di te quando mi guardo allo specchio, però cerco di dimenticarti e spesso ci riesco.
Ogni tanto mi ricordo e vorrei tanto dimenticarti, specie quando scorro con attenzione quel foglio con quei numeri o quando trattengo il respiro mentre quel macchinario cerca qualcosa che non voglio che trovi, ma che ho imparato ad aspettare, capita a molte, perché a me no, cosa ho di meglio delle altre, io?
Però ieri ti ho dimenticato, anzi non ti ho dimenticato, di te mi ricordo bene, ho dimenticato di noi, del nostro incontro, anzi della nostra prima separazione, perché di separazioni noi ne abbiamo avute due, finora. 
Sono passati due anni da quando ti hanno strappato a me e spero con tutto il cuore che tu sia finito in fiamme, quello ti meriti, visto quello che mi hai combinato e quello che mi stai ancora regalando. 
Due anni.
Ma l'anno prossimo ti ricorderò, eccome se ti ricorderò, ne sono certa.
Con odio infinito, vaffanculo cancro.


domenica 22 marzo 2015

L'uomo ideale

L'uomo ideale conosce perfettamente il numero del tuo rossetto preferito - su, è facile! basta un po' d'impegno!.
L'uomo ideale ti regala abiti di suo gusto che sono anche di tuo gusto e non sbaglia la misura, ma se la sbaglia, che la sbagli in meno, mai in più.
L'uomo ideale ti porta a cena fuori in quel bel ristorante sul mare, non ti fa pagare e ti riporta a casa tua e se ne va (la prima volta, però).
L'uomo ideale, quando siete insieme, non ti ammorba delle sue storie passate, presenti e future.
L'uomo ideale, se sei, momentaneamente, però!, l'"altra", per il tempo che siete insieme, deve pensare solo a te, parlare solo con te e mai assentarsi perché l'"una" lo ha chiamato sull'attenti. Se lo fa, ridefinisci la relazione, da "di amorosi sensi" a "semplice storia saltuaria e sporadica di amicizia amorosa nemmeno poi troppo".
L'uomo ideale non deve parlare solo lui e se glielo fai fare, che sia solo per la prima volta, che tu sembri interessata ma in realtà pensi al colore dello smalto di quella del tavolo vicino chissà che marca è e se la tua profumeria di fiducia ce l'ha sennò ti tocca cercarlo su internet ma poi sai che becchi la fregatura e nel frattempo ti si sono sbeccate le unghie e devi tornare a fare la manicure in quel centro che non ti soddisfa al 100% ma almeno è aperto nella pausa pranzo, non ci va mai nessuno (e tu sai perché), e pure di domenica mattina, così prima di andare a fare la spesa ti fai fare il gel, che tanto dura una settimana se ti va bene ma almeno hai sistemato il casino. .
L'uomo ideale deve mostrarsi interessatissimo alle tue storie balzane e non sbadigliare mai, pena ricominciare il racconto daccapo.
Dimostrati non interessata e scaricalo dopo avergli fatto credere chissà cosa, funziona sempre, l'uomo ideale ti chiamerà il giorno dopo.
L'uomo ideale non sbaglia un congiuntivo.
L'uomo ideale si lava.
L'uomo ideale non è della tua stessa fede politica, non si interessa di calcio e segue poco la tv, ma è informatissimo di cosa succede nel mondo, nella sua e nella tua città.
L'uomo ideale non dice che ha vissuto sempre con donne e quindi conosce le donne.
L'uomo ideale reprime il suo lato femminile che di femmina basti tu.
L'uomo ideale è maschio ma non è macho, che fa tanto anni 70 e allora tu nascevi, quindi ti sembra tuo padre.
L'uomo ideale conosce tutte le ricorrenze a te care e te le ricorda ogni volta, con un pensiero, un regalo piccolo ma anche grande, che non è che si sciupa. 
L'uomo ideale non fa regali per la donna di casa, mai.
L'uomo ideale abita a casa sua, che a casa tua ci stai bene come stai, senza troppe intrusioni.
L'uomo ideale capisce al volo le cose, specie quando è il momento di andarsene, non è che glielo devi far notare tu, che poi ti scoccia essere antipatica quando gli metti fuori dalla porta il trolley.
L'uomo ideale ti porta in vacanza e ti lascia fare shopping turistico in pace, esattamente come tu gli fai fare le sue migliaia di corsi senza rompere.
L'uomo ideale, a letto, dorme senza russare, dopo.
L'uomo ideale non esiste, mi sa.







martedì 10 febbraio 2015

E' passato un sacco di tempo

E' passato un sacco di tempo dall'ultimo post, qui, a casa mia.
E' passato un sacco di tempo dalla mia ritrovata, forse mai avuta come ora, libertà.
E' passato un sacco di tempo dal mio rientro al lavoro.
E' passato un sacco di tempo da un sacco di cose, insomma.
Non ancora abbastanza però per dirmi al sicuro e forse non lo sarò mai, anzi senz'altro: sapere di essere vulnerabile rende consapevoli delle proprie scelte, perché a volte ci sono scelte che ti cadono sulla testa, e non dipendono da te o da altri, ma dalla vita.
Però questo sarà l'ultimo post in cui parlo di lui, ormai l'ho personificato, il cancro. Basta. Non è un compagno di viaggio o di vita, è un ostacolo continuo, quindi basta.
Ho imparato a darmi i tempi lunghi, durante il weekend: fare da doppio genitore 10 giorni su 14 significa concentrare le attività, comprimere e spezzettarle, per renderle compatibili con lo stress di tutti i giorni.
Farò bene, farò male? E' la domanda che mi pongo ogni giorno e che penso si ponga ogni genitore, maggiormente chi è da solo e non può condividere con nessuno la quotidianità di essere madre o padre. Non ci sono risposte immediate, forse il tempo le darà, al momento valgono solo i tentativi, e che Dio ce la mandi buona.
Tempi lunghi, dicevo, durante il weekend: una passeggiata per il centro, che questa città è così bella d'inverno, quando la luce assume un colore speciale, e il freddo rende l'aria particolare; il divano di una stanza recuperata alla vita, poche cose, il silenzio e il lasciarsi scivolare verso il niente, un ozio che ha la dimensione del recupero.
Forse invecchio, non lo so e non m'importa. Anzi, invecchio proprio, ma mi piaccio molto, così rugosa. Com'era quella frase? "le rughe intorno agli occhi sono quelle del sorriso" e per fortuna sorrido ancora abbastanza.
Soddisfazioni me ne sto togliendo molte, concrete e meno, e probabilmente tempo fa non ci avrei nemmeno mai pensato. A volte fare scelte assurde tira fuori il coraggio nascosto, senza paracadute e senza reti di protezione.
Una cosa la so: ho imparato a smettere di camminare accanto a chi ha preso altre strade e fingeva di percorrere la mia. E ho imparato a fermarmi.