martedì 23 novembre 2010

Lucca - L'Aquila e ritorno.

Partenza h. 7.30, un po' in ritardo a dire il vero. Siamo in cinque, pronti a vedere cosa è successo e se è cambiato qualcosa da allora. Tra di noi c'è chi ha prestato aiuto sul posto un mese dopo l'evento e quindi è mosso anche dalla curiosità di vedere se e come ci siano stati cambiamenti.
Arriviamo verso le 11.10, tempo grigio e freddino, ma almeno non piove.
Una prima impressione non appena arriviamo a L'Aquila, quando l'amico Paolo ci fa fare un piccolo giro della città, è che ci troviamo di fronte ad una città fantasma. Le case sono piene di crepe, muri crollati, intimità della vita privata violata e mostrata come in vetrina. Le case, i palazzi che di sabato mattina dovrebbero brulicare di persone, di voci, di rumori sono invece spettralmente silenziose e vuote.
Ci avviamo verso il luogo di partenza del corteo. Siamo in anticipo, facciamo quindi un breve giro sulle vie limitrofe e la sensazione di ghost town aumenta. Sembra di essere a Pompei, la vita si è fermata alle 3.32. Panni stesi sui balconi, piante che invadono le macerie e ciò che resta di muri e palazzi, tende che svettano da finestre aperte ad ogni intemperia. Silenzio, assenza di ogni vita all'interno. Siamo sgomenti ed attoniti.
Inizia il corteo. Ovviamente manca chi pensa che qui sia tutto a posto o chi ha ancora la lingua sporca del deretano del Gran Capo o del Suo Gran Visir, a cui ha dato la cittadinanza onoraria. Cittadinanza onoraria di paesi fantasma, probabilmente.
Qualche personalità politica di spicco nazionale, che rilascia interviste o si fa fotografare, ma nulla più. L'attenzione è tutta sulla città e sui suoi abitanti.
Il corteo procede in religioso silenzio.
Ecco, è il silenzio di questa manifestazione la cosa che colpisce di più a me ed ai miei quattro compagni di viaggio. Percorriamo le vie martoriate, case abbattute, macerie, sembra di stare di fronte ad una catastrofe nucleare, per certi versi. La Casa dello Studente, le foto di chi non c'è più. Negozi svuotati, ci sono solo le insegne. Pubblicità paradossali invitano a comprare cose di cui queste persone non hanno assolutamente bisogno. Ponteggi lucidissimi, ma piazzati così come per mostrare che qualcosa eppur pare si muova. Invece ci muoviamo solo noi e chi si sta prodigando da quel giorno affinchè L'Aquila torni a volare.
Arriviamo alla fine del corteo. Ci avviciniamo sotto al palco, ma poi ci dirigiamo diretti verso il tendone ove si raccolgono le firme per la legge di iniziativa popolare. E' quello il nostro scopo ulteriore, oltre a vedere con i nostri occhi. E' la nostra firma che conta. Non solo essere arrivati fin qui.
Una marea di gente è con noi. Gente che addirittura litiga per firmare. Per un posto in coda. Alla fine, ad una persona che si lamenta per il tempo occorrente rispondo "ma perchè, cos'hai da fare? sei venuta da Ravenna per questo no? Aspetta e vedrai che poi tocca pure a te." La persona ci pensa su e poi ride, dandomi ragione.
Finita la fila, firmiamo, poi salutiamo il nostro gentile ospite e ritorniamo al parcheggio dove avevamo lasciato l'auto. Commentiamo l'esperienza, con amarezza per quanto abbiamo visto, ma anche con la consapevolezza di aver ricevuto una lezione di straordinaria dignità umana e di grandissimo amore verso la propria terra.
Affrontiamo l'autostrada verso casa, progettando cosa accadrà a Lucca ad inizio dicembre.
L'Aquila chiama Italia. Lucca risponde.

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