martedì 23 novembre 2010

Fuoco e profumo

L'amore non è come l'odio.
L'odio si autoalimenta. Parte la scintilla e poi il fuoco arde per sempre, anche senza aggiungere legna.
L'amore no.
L'amore è un fuoco diverso, più delicato. Ha bisogni di legno pregiato, odoroso.
Il profumo dell'amore che arde si avverte anche a distanza.
Una persona innamorata è persa tra le nuvole, scaldata da quel fuoco.
Ma è un fuoco che può spegnersi presto, quando il legno pregiato viene sostituito da trucioli scadenti.
Smette di ardere, si affievolisce, si spegne.
Il profumo diviene ricordo.
Come quelle boccette che per errore restano aperte.
Resta solo il fondo, diverso dalla fragranza che ti aveva portato a scegliere quello, tra tanti.
E ti domandi se quel fondo sia in realtà l'essenza stessa del profumo e se nello sceglierlo hai commesso un errore.
In realtà, forse no. Hai solo dimenticato di chiudere il tappo, di proteggerlo, quel profumo.
Proteggerlo dal tempo e dalla polvere che ne ha sporcato l'essenza.
E allo stesso tempo, il legno pregiato che alimentava il tuo fuoco è finito e non hai tempo nè voglia di cercarne altro.
Così il fuoco si spegne e con esso l'amore, la passione.

Lucca - L'Aquila e ritorno.

Partenza h. 7.30, un po' in ritardo a dire il vero. Siamo in cinque, pronti a vedere cosa è successo e se è cambiato qualcosa da allora. Tra di noi c'è chi ha prestato aiuto sul posto un mese dopo l'evento e quindi è mosso anche dalla curiosità di vedere se e come ci siano stati cambiamenti.
Arriviamo verso le 11.10, tempo grigio e freddino, ma almeno non piove.
Una prima impressione non appena arriviamo a L'Aquila, quando l'amico Paolo ci fa fare un piccolo giro della città, è che ci troviamo di fronte ad una città fantasma. Le case sono piene di crepe, muri crollati, intimità della vita privata violata e mostrata come in vetrina. Le case, i palazzi che di sabato mattina dovrebbero brulicare di persone, di voci, di rumori sono invece spettralmente silenziose e vuote.
Ci avviamo verso il luogo di partenza del corteo. Siamo in anticipo, facciamo quindi un breve giro sulle vie limitrofe e la sensazione di ghost town aumenta. Sembra di essere a Pompei, la vita si è fermata alle 3.32. Panni stesi sui balconi, piante che invadono le macerie e ciò che resta di muri e palazzi, tende che svettano da finestre aperte ad ogni intemperia. Silenzio, assenza di ogni vita all'interno. Siamo sgomenti ed attoniti.
Inizia il corteo. Ovviamente manca chi pensa che qui sia tutto a posto o chi ha ancora la lingua sporca del deretano del Gran Capo o del Suo Gran Visir, a cui ha dato la cittadinanza onoraria. Cittadinanza onoraria di paesi fantasma, probabilmente.
Qualche personalità politica di spicco nazionale, che rilascia interviste o si fa fotografare, ma nulla più. L'attenzione è tutta sulla città e sui suoi abitanti.
Il corteo procede in religioso silenzio.
Ecco, è il silenzio di questa manifestazione la cosa che colpisce di più a me ed ai miei quattro compagni di viaggio. Percorriamo le vie martoriate, case abbattute, macerie, sembra di stare di fronte ad una catastrofe nucleare, per certi versi. La Casa dello Studente, le foto di chi non c'è più. Negozi svuotati, ci sono solo le insegne. Pubblicità paradossali invitano a comprare cose di cui queste persone non hanno assolutamente bisogno. Ponteggi lucidissimi, ma piazzati così come per mostrare che qualcosa eppur pare si muova. Invece ci muoviamo solo noi e chi si sta prodigando da quel giorno affinchè L'Aquila torni a volare.
Arriviamo alla fine del corteo. Ci avviciniamo sotto al palco, ma poi ci dirigiamo diretti verso il tendone ove si raccolgono le firme per la legge di iniziativa popolare. E' quello il nostro scopo ulteriore, oltre a vedere con i nostri occhi. E' la nostra firma che conta. Non solo essere arrivati fin qui.
Una marea di gente è con noi. Gente che addirittura litiga per firmare. Per un posto in coda. Alla fine, ad una persona che si lamenta per il tempo occorrente rispondo "ma perchè, cos'hai da fare? sei venuta da Ravenna per questo no? Aspetta e vedrai che poi tocca pure a te." La persona ci pensa su e poi ride, dandomi ragione.
Finita la fila, firmiamo, poi salutiamo il nostro gentile ospite e ritorniamo al parcheggio dove avevamo lasciato l'auto. Commentiamo l'esperienza, con amarezza per quanto abbiamo visto, ma anche con la consapevolezza di aver ricevuto una lezione di straordinaria dignità umana e di grandissimo amore verso la propria terra.
Affrontiamo l'autostrada verso casa, progettando cosa accadrà a Lucca ad inizio dicembre.
L'Aquila chiama Italia. Lucca risponde.

sabato 23 ottobre 2010

La valigia

Non sono fatta per restare fissa in un luogo. Me ne rendo conto.
Da quando ho lasciato casa dei miei, ormai un secolo fa (quindici anni fa) non sento di essere più legata a nessun posto.
Mi sento sempre pronta ad andare via, a fuggire forse da un qualcosa che non mi appartiene.
Non passa settimana che non progetti uno spostamento, anche breve, anche di un solo weekend. Anche da sola, in compagnia di un buon libro da leggere in treno, in pace.
Non so come facciano quelle persone che non amano viaggiare, che sentono la necessità di infilarsi in casa, nella città dove sono nati e guardano con sospetto chi invece non si dà pace.
Ecco, non mi do pace, forse.
Ma non sopporterei l'idea di restare ferma in un solo luogo tutta una vita.
L'unica cosa che mi frena, per il momento, sono le bambine.
Stanno bene qui? ed allora restiamo qui.
Ma se si dovesse ravvisare l'opportunità, me ne andrei senza dubbio.
Dove? non so, forse vicino al mare.
O in una città d'arte. Ma non questa dove vivo.
Una un po' più grande, con una mentalità più aperta e disponibile agli altri, ai "forestieri piovuti", come dicono qui.
Io sono "piovuta", ma non mi assimilo, come la pioggia, al terreno.
Anzi, cerco, come un piccolo fiume, il mio mare. Mare che ancora forse non conosco.
E così mi sento sempre pronta a preparare una valigia.
La mia valigia preferita, infatti, non è mai riposta in qualche luogo della mia casa, da riprendere l'estate successiva o alle prossime ferie.
E' invece sempre lì, pronta, addirittura con qualche cosa già all'interno, disponibile ad ogni occorrenza eventuale.
E non è detto che presto non l'accontenti.
Magari in un'altra vita passata sono stata un navigante e mi è rimasto questo ricordo.
Non so, ma la mia valigia è lì e mi aspetta.

venerdì 22 ottobre 2010

Tiromancino - La Descrizione Di Un Attimo

Robbie Williams - Heart And I

Ma si può incominciare ogni telefonata con un "a' matta, che stai a fà?"

Credo che tra me e Barbara sarebbe meglio ci fosse un telefono rosso, tipo quello che collegava Mosca a Washington.
Lo so, è arduo come paragone, ma penso che se costruissimo una linea diretta Lucca-Cobh a spese nostre, risparmieremmo senz'altro rispetto alle bollette che prevedo ci arriveranno.
Ormai siamo ad almeno una telefonata al giorno, se non ci sono problemi, altrimenti arriviamo anche a tre. Con le conseguenze che mi attendo, a breve...
Ma è come se avessi quella sorella che non ho mai avuto, ormai parliamo di tutto, non solo degli argomenti che normalmente si potrebbero trattare tra due persone che si conoscono da meno di due anni, o forse poco più, boh; che si conoscono, poi, solo in via virtuale, al massimo al telefono.
Mai viste di persona, mai abbracciate, mai niente di niente di tattile e fisico. Eppure abbiamo anche lo stesso profumo, addirittura.
Non vedo l'ora di incontrarla.
Mi immagino una scena tipo che scendo dall'aereo e mi trovo lei che, con i lucciconi agli occhi, mi viene incontro, come al rallentatore, come in quegli sketch comici di Raimondo Vianello e la Mondaini, dove alla fine non si abbracciano.
Siamo talmente fuori dagli schemi che una scena del genere non sarebbe da sottovalutare.
Ma non vedo l'ora di strapazzare quella sorellona (in senso fisico, è senz'altro più giunonica di me, anche se la più "matura" sono io.. sigh) di baci. E mi immagino un paio di giorni in Irlanda, giorni pieni di allegria e chiacchiere fino a notte inoltrata.
Perchè mica vorrai lavorare in quei giorni, spero...
Barbara, tanto lo so che sbirci pure qui, me l'hai detto tu poco fa, sappi che se rinasco non mi scappi neanche tu.
Intanto rinasco sicuramente lesbica e quindi sei fritta (poveri i tuoi spasimanti sparsi per l'etere facebookkiano, nemmeno in un ipotetico futuro avranno una qualche minima speranza), ma, in ogni caso, mi accontenterei di avere una sorella come te.
Ti voglio bene, 'a matta!

lunedì 27 settembre 2010

Canzoni

Ci sono musiche che ti riportano immediatamente a certi ricordi.
Un paio di esse esercitano questo potere su di me.
Capita che non appena ne avverto le prime note, mi ritrovo su un treno, con le cuffie dell'mp3 alle orecchie, un libro sulle gambe, lo sguardo fuori dal finestrino in cerca di paesaggi da scoprire, un sabato mattina piovoso di fine gennaio.
Diretta verso un posto ove mai ero stata, assolutamente ignoto.
Ma con la curiosità un po' spaventata di chi si accinge a compiere qualcosa di mai fatto.
Un salto nel vuoto.
Una follia cominciata.
E quella musica che durante quella prima parte di giornata mi accompagna più volte, ciclica quasi, magica, in attesa di quelle ore folli, che però non ho più dimenticato e difficilmente scorderò.
E poi, dopo, un altro luogo ove ero già stata, ma in circostanze diverse, una passeggiata, ricordi di altre persone, racconti, un panino mangiato su una panchina, una testa sulla spalla, una coccinella portafortuna in regalo.
Chissà se esiste ancora, quella coccinella.
Un rientro in auto, poi ancora il treno.
E quella musica che riaccompagna il viaggio di ritorno, con l'incredula contentezza di aver cambiato un po' di sé.
Ecco, quelle canzoni sono il mio punto di svolta.
A fine gennaio.


http://www.youtube.com/watch?v=vM2cvLKjNZs

giovedì 23 settembre 2010

La ballerina

Lui apre il carillon e nell'aprirlo lei si solleva, lenta, delicata.
Lui la guarda, gira la molla per la carica e lei comincia a ballare, gira su se stessa al suono gentile di quel meccanismo.
Lui la osserva e sorride, contento che ancora funzioni, nonostante il tempo trascorso da quando quel cofanetto era stato riposto nella soffitta.
La ballerina balla e pare guardarlo, come orgogliosa di mostrare che ancora sia perfetta dopo tutti quegli anni.
La musica continua, il ballo leggiadro sembra incantarlo.
Di colpo un rumore, una voce di donna, un nome.
Lui chiude improvvisamente il carillon e lo abbandona lì.
Una lacrima le solca il volto.

Spiragli di alba

Era febbraio. O forse marzo. Ma non più tardi di marzo, sicuramente.
Carla era sotto KO, dopo un uno/due degli ultimi mesi che la stava mandando giù. E l'ultimo colpo non era stato più forte degli altri, era solo stanca e quello fu solo un semplice sgambetto fatto da chi non aveva altre armi da usare.
Stava per rovinare a terra, ma a sostenerla trovò un'amica che le porse subito la sua mano in aiuto e non le fece toccare il suolo.
Tutt'intorno il silenzio. Solo lei, la sua amica, sapeva e capiva cosa le stesse accadendo.
Carla si rialzò in piedi, si risistemò, si guardò allo specchio e vide che non c'erano rimasti troppi segni sul volto.
Dentro era colpita, ma più nell'orgoglio che nel cuore.
Il cuore non c'era più da tempo.
"Vabbè", pensò, "l'hai voluto tu. E poi, guardalo bene, che te ne facevi di uno così?"

Ricominciò a percorrere la sua strada in solitaria.
Non si era accorta di chi le fosse accanto. La gente intorno non le interessava di certo.
Non si era accorta che qualcuno le si stava intrufolando nella sua vita, senza che lei ne avesse percezione.
Forse era ancora stordita.
Quando se ne accorse, era tardi. Quel qualcuno si era impossessato dei suoi pensieri.
Nel corso del tempo, anzi quasi subito, non appena capì, provò ad allontanarlo, ma non ci riuscì.
Pensò molto spesso a come fare per mandarlo via da sè, non era proprio il caso di rinfilarsi in una situazione del genere.
Allora decise di fare il contrario di ciò che avrebbe voluto, lasciò che se ne impadronisse.
In fin dei conti, cosa sarebbe cambiato? nulla. Alla fine se ne sarebbe andato da solo.
E il tempo scorse via. Scorse via tra liti, silenzi (pochi), incontri, sorrisi.
Ma quel qualcuno restava lì, non se ne andava.
Intanto nella vita di Carla, altre persone si affacciavano.
E lei sperava che alcune di loro riuscissero in ciò in cui lei non era riuscita, farlo andare via.
Una di queste le suscitava tenerezza, addirittura. Forse sarebbe stata la persona giusta, forse.
Ma più pensava a questa persona, più le accadeva che, virando il pensiero verso chi era padrone di lei, le uscisse un sorriso.

Era notte fonda, ormai.
Si addormentò sorridendo.

Senza titolo

Lo stato d'animo non è quello giusto, probabilmente dovrei essere più spensierata.
Dovrei avere la mente sgombra dai pensieri.
Oppure è solo forse colpa della famosa sindrome premestruale, che a noi donne fa alterare l'umore (come se gli altri giorni del mese fosse sempre costante, mah).
Ma in verità non è la mente ad essere ingombra, quello lo è sempre.
Pensieri che corrono, si fermano, ripartono, si accavallano ad altri, si depositano sotto alcuni più prepotenti, ma poi risorgono quando meno te l'aspetti.
Quello che è ingombro è l'altro organo che sovrintende alla vita.
Alla vita fisica e, nella sua versione immateriale, a quella dell'anima.
E' talmente ingombro che scoppia.
E' come uno di quegli armadi (i miei, tutti) che traboccano di vestiti, oggetti, borse, cose nascoste e che stanno lì per errore o perchè messe in attesa di venire trasferite nel luogo ad esse deputato. Ma che non vedranno mai, nella loro lunga o breve esistenza.
Cose dimenticate, che solo un paio di volte all'anno ritrovi e sorridi nel rivederle. Magari ti ricordano il momento in cui l'hai messe lì o quando le hai comprate.
Utilissime, non ne potevi fare a meno.
E il cuore è un po' così.
Trabocca.
E per quanto tu cerchi di metterci le sensazioni dentro, le spingi con forza e provi a chiudere l'anta, questa non si chiude ed un pezzetto di quella sensazione spunta fuori e ti ricorda con quel lembo sporgente che è lì. E che se vuoi chiudere bene, dovresti togliere quell'emozione da dentro.
Farla uscire.
Non sono emozioni negative quelle più fastidiose, quelle escono quasi da sole, anzi sei tu che le fai uscire facilmente. E' come una deflagrazione improvvisa. Esplode e si spande. Stop.
Dopo ti senti un po' scarica, però non sei appagata.
Quelle più fastidiose ed ingombranti sono quelle positive, quelle che non puoi far uscire e basta, devi indirizzarle per farti stare bene. Indirizzarle. E verso cosa? verso chi?
Il problema è quello: cosa, chi.
Allora pensi che è meglio tenerle dentro, in fin dei conti perchè sprecarle. Le spari verso qualcuno e magari gli rimbalzano addosso e cadono a terra. Magari pure nel fango o in un pozzanghera. E non le puoi più riprendere.
Quelle emozioni non si possono riprendere, si possono solo scambiare con altre, che però non richiudi nel cuore, come le prime, ti pervadono e ti fanno stare bene, appagata.
E quindi continui a serbarle, le nascondi, le stipi dentro, finchè un pezzetto spunta nel momento meno opportuno e ti ricorda che sono lì dentro.
Ma l'armadio è pieno e non ci stanno più.

venerdì 16 luglio 2010

Pomeriggio caldo di mezza estate (più o meno)

Sto qui, seduta al pc. Pomeriggio caldo. Noioso. Attendo che arrivi il fresco della sera ed intanto ho acceso il condizionatore.
Ormai è una confusione totale, Facebook, Twitter, mi mancava anche il blog.
Vabbè, mi dico, riempiamolo di parole. Poi qualcuno, se vuole, leggerà. Altrimenti resterà il mio diario.
Diario di una quasi quarantenne, con alcune tappe della sua vita raggiunte e molte altre bypassate ed altre ancora da raggiungere. Le vedo in lontananza, ma sono sempre lontane. Oppure è il caldo che me le rende ancora più irraggiungibili. Boh. Intanto procedo, poi si vedrà.
Nel frattempo, altri piccoli scalini li ho superati e, nel superarli, raccolgo qualche piccolo premio intermedio.
Premi imprevisti e proprio per questo piacevoli.
Soddisfazioni che non mi aspettavo. Una proprio oggi pomeriggio. Una richiesta innocente che mi ha fatto piacere. E' come se il puzzle che tempo fa si era scomposto si stia ricomponendo piano piano, e non nascondo il compiacimento che ciò mi provoca.
Per ora mi accontento.
Mi accontento di una parola in francese, di un sorriso.